Il premio Nobel per la Pace, l’arcivescovo Desmond Tutu, sostiene che “la fame non è un fenomeno naturale, bensì una tragedia provocata dall’uomo”. A giustificazione di questa sua affermazione Tutu fa notare come “non si ha fame perché non c’è abbastanza da mangiare, ma perché i meccanismi che trasportano i generi alimentari dai campi alla tavola non funzionano bene”.
La ricerca di Secondo Protocollo evidenzia come il problema sia nella gestione prettamente macro-economica delle risorse alimentari, cioè nella visione “a grandi numeri” imposta dalle multinazionali e, almeno fino ad oggi, anche dai grandi istituti economici mondiali quali il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e World Bank (WB), i quali condizionavano i loro prestiti ai Paesi in via di sviluppo (Pvs) a progetti macroeconomici che di fatto tagliavano fuori quelli basati sulla micro-economia, da sempre colonna portante del Paesi poveri e mezzo per accedere allo sfruttamento delle risorse a livello locale. Di questa visione del mercato ne hanno beneficiato le grandi compagnie e i Paesi che stanno sfruttando il “land grabbing” (Cina, India, Arabia Saudita ecc. ecc.) lasciando agli africani meno dello stretto necessario per vivere.
Qualche mese fa da World Bank sono arrivati i primi timidi segnali di cambiamento della politica economica con un indirizzo (ancora da applicare) di cambiamento a favore della micro-economia, ma siamo ancora alle dichiarazioni di intento. Oltretutto va detto che, a differenza di World Bank, il Fondo Monetario Internazionale ha inasprito le condizioni per beneficiare dei prestiti andando a rafforzare il teorema della macro-economia a discapito della micro-economia, vista dai grandi banchieri come fumo negli occhi e non in grado di innalzare il Prodotto Interno Lordo (PIL) dei Paesi in via di sviluppo, condizione essenziale per accedere ai crediti del FMI.
E’ chiaro quindi che per implementare una politica di lotta alla fame e alla povertà in Africa è necessario rivedere la politica economica di quei Paesi in via di sviluppo particolarmente interessati da questi fenomeni. In particolare occorre fare qualcosa di concreto per favorire la micro-economia locale dando così la possibilità agli africani di sfruttare le risorse prodotte dalla loro terra. E poi occorre agire con tempestività sul fenomeno del “land Grabbing” e sullo sfruttamento intensivo dei grandi appezzamenti di terreno da parte delle multinazionali. Lo so, questo è un problema vecchio e purtroppo irrisolto, ma è arrivato il momento di affrontarlo seriamente con attività concrete e supportate dalle grandi agenzie internazionali. Insomma è ora di rompere quell’assurdo paradosso che vede l’Africa come vittima delle proprie risorse invece che come beneficiaria.
Si calcola che solo in Africa Orientale ogni sera circa otto milioni di persone vanno a dormire con lo stomaco completamente vuoto quando proprio quell’area è una delle più fertili del mondo. E’ una situazione che non incide solo in Africa ma coinvolge di riflesso tutto il mondo. Basti pensare ai flussi migratori alimentati dalla povertà e dalla fame, flussi che non ci sarebbero se le condizioni di vita della popolazione fossero quantomeno accettabili. Per questo è arrivato il momento di uscire dal limbo della ipocrisia e delle frasi scontate e di iniziare seriamente ad implementare una politica seria di sviluppo improntata nel medio-lungo periodo che affronti a muso duro i problemi dell’Africa. Si riuscirà in una cosa di cui si discute sterilmente da anni? Non lo so, ma confido che quei milioni di esseri umani in fuga dalla fame che stanno premendo sulle coste nord dell’Africa faranno riflettere i “Paesi ricchi” sulla necessità sempre più incombente di affrontare una volta per tutte questo problema.
Leggi il Progetto Haven per l’Africa
Franco Londei
One Reply to Africa: combattere la fame con nuove politiche economiche
Articolo molto interessante e condivisibile. Solo che si dovrebbe veramente iniziare a fare qualcosa. Purtroppo credo che sarà molto dura vincere le resistenze delle multinazionali e degli organismi di potere che vogliono tenere in ostaggio l’Africa e gli africani. Secondo me le organizzazioni come la vostra, le Ong e chi è impegnato in Africa dovrebbero unire le forze per spingere verso una soluzione come quella proposta in questo articolo. Forse l’unione potrebbe veramente fare la forza
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