Mano a mano che il tradimento di Donald Trump nei confronti dei curdi appare in tutta la sua deflagrante follia, sempre più analisti della difesa a Gerusalemme si chiedono se il Premier Benjamin Netanyahu abbia fatto bene o meno a puntare tutto sul Presidente americano.
In queste ore si susseguono le riunioni tra gli esperti militari e gli analisti della intelligence per valutare ogni possibile scenario, ma sopratutto per valutare le mosse che stanno facendo gli iraniani galvanizzati dal tradimento americano verso i loro alleati curdi.
Ieri molte agenzie di stampa iraniana mettevano in risalto il “panico” in cui la decisione di Trump aveva gettato Israele.
Sono in molti nel comparto della intelligenge a temere che gli iraniani possano approfittare del momento per spingere i loro proxy ad attaccare Israele.
Per di più il tradimento di Trump verso i fedelissimi alleati curdi arriva in un momento in cui Israele sta attraversando un delicatissimo stallo politico mentre tutto intorno allo Stato Ebraico fervono i preparativi per il più volte annunciato attacco.
Parlando con una importante analista della intelligence israeliana (che non può essere nominata) ieri sera abbiamo potuto capire lo sgomento e la confusione creata da questa orrida decisione dell’Amministrazione americana.
«Siamo bloccati» ci dice l’analista. «A parte la situazione politica interna che non ci aiuta, ora non sappiamo nemmeno se possiamo contare sul supporto americano alle nostre azioni preventive contro l’Iran» continua.
«Paradossalmente l’unica cosa su cui siamo certi di poter contare è l’accordo con Mosca sulle azioni in Siria che però non sappiamo per quanto potrà tenere, per tutto il resto è buio anche nelle comunicazioni con l’intelligence americana» conclude l’analista.
Ormai da diverso tempo i caccia israeliani non colpiscono obiettivi iraniani in Siria mentre l’Iran, al contrario, continua nel suo posizionamento intorno a Israele. «È una finta calma» ci confida l’analista. «Abbiamo una lunga lista di obiettivi e di azioni da compiere, ma per ora è tutto bloccato».
La nostra fonte ci tiene comunque a precisare che Israele è in ogni caso in grado di muoversi in maniera del tutto autonoma militarmente e che anche in caso di un attacco le difese sono pronte a reagire a prescindere da quello che decidono a Washington o a Mosca.
Ma la “mazzata politica” si sente. Netanyahu, che aveva puntato tutto sulla fiducia nel Presidente Trump, è silente. I media dell’opposizione infieriscono sul Premier rinfacciandogli la “troppa fiducia” concessa a Trump nonostante i segnali che arrivavano da Washington, ma non lo fanno con troppa convinzione rendendosi conto della delicatezza del momento.
Inutile negarlo, il tradimento americano dei curdi pesa tantissimo e tutto va rivisto sotto l’ottica che vi sia la possibilità che in caso di una guerra con l’Iran, Israele si trovi a doverla combattere da solo.
Ora però più che mai è indispensabile che la situazione politica interna allo Stato Ebraico trovi velocemente un soluzione, che venga formato un nuovo governo senza lasciare nell’incertezza il paese.
Non è la prima volta che Israele si trova a dover combattere una guerra da solo e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima. Ma adesso serve una fortissima coesione nazionale che superi le divisioni politiche.
Il pericolo iraniano è sempre più incombente e il tradimento americano dei curdi sembra aver rivitalizzato gli Ayatollah che potrebbero decidere di fare il “grande passo”. È un rischio che Israele non si può permettere di correre.