La Cina commette genocidio nello Xinjiang. Ormai tutto il mondo libero è concorde con questa definizione. L’ultima in ordine di tempo a stabilirlo è stata la Gran Bretagna sebbene con la contrarietà del Governo.
Ieri il Parlamento britannico lo ha stabilito all’unanimità dopo un dibattimento di tre ore durante il quale non è mai stato sottovalutato il peso della parola “genocidio”.
I legislatori della Camera dei Comuni britannica hanno approvato una mozione in cui dichiara che gli uiguri e altre minoranze etniche e religiose nella regione autonoma cinese dello Xinjiang nordoccidentale “stanno subendo crimini contro l’umanità e genocidio”.
Il deputato Nusrat Ghani, che la Cina ha sanzionato insieme ad altri quattro membri del parlamento il mese scorso, ha presentato il disegno di legge dicendo ai legislatori che, sebbene non debbano mai abusare del termine genocidio, non devono mai mancare di usarlo quando giustificato.
«Oggi, questo parlamento ha una possibilità storica, indipendentemente dalla differenza di idee politiche nella maggior parte delle altre questioni, di tenere la testa alta, alzarsi in piedi e difendere coloro che non hanno voce», ha detto nelle sue osservazioni introduttive il deputato Nusrat Ghani.
Pechino è stata accusata dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e da altre nazioni per lo più occidentali di aver internato più di un milione di suoi cittadini uiguri nei campi dello Xinjiang dove sono sottoposti a lavori forzati, torture e sterilizzazione.
Pechino è accusato anche di uccisioni illegali, sparizioni forzate e altre violazioni dei diritti umani, tutti casi che la Cina contesta con veemenza, sostenendo che i campi servono a combattere il terrorismo e che nessuno può intromettersi negli affari interni cinesi.
Il Governo di Boris Johnson contrario alla definizione di genocidio
Quella di ieri è una svolta importante perché fino a ieri il Governo britannico di Boris Johnson, pur condannando il trattamento riservato dai cinesi al popolo degli uiguri, era sempre stato riluttante ad usare la parola “genocidio” e probabilmente non cambierà idea.
«Un accertamento di genocidio richiede la prova che atti rilevanti siano stati compiuti con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico o religioso», ha detto Nigel Adams, ministro per l’Asia, durante il dibattito in Parlamento.
«Per queste ragioni, non crediamo che sia giusto che il governo prenda una decisione in questo, o in qualsiasi altro caso in cui vengano denunciati genocidio o crimini contro l’umanità» ha poi concluso.
Questa mattina l’ambasciata cinese in Gran Bretagna ha ammonito i politici britannici definendo la dichiarazione “una vergogna oltraggiosa contro i risultati dello sviluppo dello Xinjiang”.
L’ambasciata di Pechino a Londra questa mattina ha pubblicato una dichiarazione ribadendo la posizione cinese secondo la quale le questioni relative allo Xinjiang sono di natura antiterrorismo, deradicalizzazione e antiseparatismo, affermando che le accuse di una manciata di parlamentari britannici “sono la menzogna più assurda del secolo, una scandaloso insulto e un affronto al popolo cinese e una grave violazione del diritto internazionale e delle norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali”.
Senza sanzioni contro la Cina è tutto inutile
È bello che anche la Gran Bretagna si sia unita al coro del mondo libero che condanna la Cina per quanto sta facendo nello Xinjiang, sebbene lo abbia fatto incredibilmente con il governo contrario, ma la bellezza di un gesto non basta senza sanzioni che facciano pagare ai cinesi i propri crimini.
Già nessuno parla più di sanzioni alla Cina per il criminale comportamento tenuto all’inizio della Pandemia. Oggi parlano tutti di genocidio nello Xinjiang ma nessuno parla di sanzioni a Pechino, come se la Cina fosse la padrona del mondo e potesse fare tutto ciò che vuole.
Vogliamo fare una cosa veramente giusta? Non limitiamoci a riempirci la bocca con le parole “Diritti Umani” e “genocidio nello Xinjiang”. Cominciamo finalmente a far pagare alla Cina i propri crimini, a partire dallo Xinjiang fino al comportamento tenuto con il COVID-19.