La Palestina morta prima di nascere?

Da oltre 60 anni sulla Palestina si sta facendo un errore storico che oggi pesa come un macigno sulla nascita di uno Stato palestinese democratico: si è voluto creare prima un popolo di uno Stato. Ma un popolo non si crea dal nulla come si può invece fare per uno Stato, non ci si inventa la storia di un popolo se quella storia non c’è.

Da oltre 60 anni gli arabi giocano su una storia inventata, quella del popolo palestinese. All’inizio era per contrastare la nascita di Israele, poi per arrivare alla sua distruzione. Oggi che gli arabi non hanno ottenuto nessuno dei due obbiettivi ci si ritrova con un popolo che non c’è in uno Stato che non c’è, una massa di persone composta per la maggioranza da giovani che credono di avere una storia, non perché ce l’abbiano veramente ma perché sin da piccoli gli viene raccontata la storiella della “grande Palestina”, una massa di giovani cresciuti ad assistenzialismo spinto e odio, senza nessuna prospettiva per il futuro.

Da questa situazione nasce un altro errore storico, quello di voler far credere che la situazione del cosiddetto “popolo palestinese” dipenda da Israele, che lo stato di povertà in cui versano milioni di palestinesi, l’arretratezza e la mancanza di un futuro, dipendano da Israele e da quella che gli odiatori occidentali chiamano “occupazione”. E’ l’ennesimo errore perpetrato proprio a danno dei palestinesi perché quando si analizza la situazione della Palestina, o meglio, delle due Palestine (Gaza e West Bank), si evita accuratamente di parlare della totale mancanza di volontà della dirigenza palestinese di creare uno Stato, si evita di parlare delle centinaia di miliardi di dollari erogati alla Palestina e destinati alla sua crescita letteralmente spariti nel nulla, si evita di dire che i palestinesi per decenni sono stati deliberatamente tenuti nella povertà e nella arretratezza per garantirsi un’arma contro Israele. La violenza palestinese che da settimane colpisce i civili israeliani non deriva dalla cosiddetta “occupazione” ma da una mentalità sbagliata inculcata nelle menti dei giovani palestinesi, non deriva dalla frustrazione dei giovani palestinesi di non vedere un futuro per loro a causa di Israele, deriva dalla frustrazione di non vedere un futuro nello Stato palestinese, a prescindere da Israele. Solo che Israele è l’alibi perfetto, lo è sempre stato.

La terza intifada mai nata

I molti sostenitori del martirio palestinese, spesso occidentali che però se ne stanno a incitare al martirio comodamente da casa loro, amano chiamare l’ondata di violenza contro i civili israeliani la “terza intifada”. In realtà questa ondata di violenza è lontanissima dall’essere una intifada. La prima intifada del 1987 fu uno sforzo popolare sostenuto da ampia parte della società palestinese. La seconda intifada del 2000 si basava su un piano volto a terrorizzare così tanto gli israeliani da spingerli volontariamente a lasciare Israele e fu violentissima. Anche in quel caso c’era un’ampia fetta della società palestinese favorevole. In questo caso nessuno vuole veramente una intifada. La violenza non ha quell’ampio sostegno popolare che avevano le due precedenti intifade, nonostante gli sforzi esterni (non solo arabi o persiani) profusi sui media dagli odiatori. Nemmeno la dirigenza palestinese vuole veramente una intifada anche se con le sue bugie ha tentato di forzare la mano finendo per perdere il controllo di parte dei giovani palestinesi. Non ci sono mobilitazioni di massa ma solo qualche centinaio di giovani che, specie nelle numerose “giornate della rabbia”, partecipano alle manifestazioni. Troppo pochi per parlare di intifada. La maggioranza dei palestinesi è stanca di una lotta contro i mulini a vento e vorrebbe vedere per loro e per i propri figli un futuro chiamato Palestina anche se un sondaggio palestinese la vede diversamente. Secondo il sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research, che però risale a settembre, la stragrande maggioranza dei palestinesi ritiene che per i Paesi arabi la Palestina non sia più la priorità e che gli stessi arabi abbiano perso la fiducia nella ANP, tuttavia a settembre la maggioranza dei palestinesi chiedeva il ritorno alla intifada armata. Secondo molti analisti israeliani oggi invece la situazione è sostanzialmente cambiata e la massa dei palestinesi non appoggia più l’intifada armata, forse a causa dei molti problemi economici causati all’economia palestinese dalla ondata di violenza contro gli israeliani. Fatto sta che oggi la maggioranza dei palestinesi ritiene che la Autorità Nazionale Palestinese dovrebbe essere sciolta anche se non si esprime sulle eventuali alternative.

La grande occasione mancata da Abu Mazen

Abu Mazen (Mahmud Abbas) ha avuto la più grande opportunità di creare uno Stato palestinese che sia mai capitata a un leader arabo. Con gli Accordi di Oslo raggiunti dal suo predecessore, Yasser Arafat, e con le successive variazioni poteva ottenere il 99% delle richieste territoriali palestinesi. Eppure ha scelto di mantenere la Palestina nel limbo in cui si trova oggi, forse per mantenere il potere e il meccanismo corruttivo che lo caratterizza, o forse perché l’obbiettivo palestinese non è creare uno Stato che viva accanto a Israele ma cancellare Israele. Su questo ci sono diverse correnti di pensiero. Fatto sta che Abu Mazen ha buttato letteralmente alle ortiche l’occasione di fare la storia. Oggi la ANP non è più supportata nemmeno dagli Stati arabi e il recente accordo sul Monte del Tempio raggiunto da Netanyahu e il Re di Giordania senza nemmeno sentire il parere di Abu Mazen ne è la prova provata.

Quali prospettive per la Palestina

A leggere l’attuale situazione palestinese non c’è da stare allegri. In West Bank governa la ANP che però oltre a non essere legittimata da elezioni democratiche è screditata sia agli occhi della gente che a quelli dei Paesi arabi. A Gaza governa Hamas, un gruppo terrorista che controlla il territorio con metodi violenti e mafiosi e che mantiene il potere proprio grazie a tali metodi. All’orizzonte non si vedono personalità di spicco e moralmente integre in grado di riunire le due Palestine e liberarle dal peso della ANP e di Hamas. Il risultato è la materiale impossibilità di far nascere uno Stato palestinese indipendente e strutturato, svincolato dal terrorismo islamico e indirizzato allo sviluppo umano ed economico. Non vedere questa realtà significa negare l’evidenza. Il problema oltretutto è completamente palestinese, Israele non c’entra nulla in questa dinamica interna agli arabi anche se ne risente pesantemente in termini di attacchi terroristici e di odio antisemita. Continuare a chiedere che Israele e Palestina si siedano a un tavolo delle trattative, come fanno gli USA e la UE, senza prima creare le condizioni politiche per la nascita di uno Stato palestinese è semplicemente inutile oltre che ridicolo. In questo momento, con questa dirigenza palestinese, non ci sono le condizioni per la nascita di uno Stato palestinese, sono morte prima di nascere. Anche gli arabi lo hanno capito, solo Obama e la Mogherini continuano a ritenere Abu Mazen un interlocutore affidabile nonostante tutte le porcherie che ha fatto. La Palestina sta andando avanti a forza di slogan e miraggi, riconosciuta da diversi organismi internazionali senza nemmeno essere nata. L’assurdo nell’assurdo. E di questo passo uno Stato palestinese non nascerà mai. Ma in fondo a molti conviene che la situazione rimanga così. Ecco perché la Palestina è morta prima ancora di nascere, a nessuno interessa che nasca. E’ come un figlio non voluto, nemmeno dagli arabi.

Scritto da Gabor H. Friedman

Posted by Franco Londei

Politicamente non schierato. Sostengo chi mi convince di più e questo mi permette di essere critico con chiunque senza alcun condizionamento ideologico. Sionista, amo Israele almeno quanto amo l'Italia