Il 25 novembre scorso si è celebrata la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Sono state diverse le manifestazioni in tutto il mondo nelle quali si è ricordato come le donne siano le prime vittime delle situazioni di degrado sociale, degli estremismi religiosi, della misoginia, delle discriminazioni di genere, ma anche nelle cosiddette “società evolute”, delle violenze gratuite inflitte dai propri uomini.
I dati snocciolati sono davvero impressionanti. Uno per tutti i dati del nostro Paese secondo i quali in Italia una donna su tre tra i 16 e i 70 anni è stata, almeno una volta, vittima di violenza o maltrattamenti (dati forniti dall’Istat). Non parliamo poi della condizione della donna nei paesi musulmani, dall’Arabia Saudita all’Iran passando per l’Afghanistan, il Pakistan e tanti altri Paesi medio-orientali. In Africa poi la donna è ancora vittima di vecchie usanze e credenze quali l’infibulazione oppure, giovanissima, viene venduta in sposa per un paio di vacche a uomini che spesso sono di molto più vecchi di loro. In India e in Pakistan i matrimoni combinati (imposti) sono tutt’oggi uno dei casi più eclatanti di negazione dei Diritti delle donne.
Ma tutti questi dati, corroborati da numeri impressionanti, non parlano mai dei casi nascosti, quelli consumati dentro le mura domestiche nel silenzio pressoché totale della cosiddetta società. Secondo alcune ricerche i casi di violenza domestica sulle donne superano di gran lunga quelli ufficiali, cioè se in Italia secondo l’Istat una donna su tre è vittima (o lo è stata) di violenza, almeno altrettante lo sono ma non lo denunciano. Il bello è che in molti casi non si tratta di donne con un basso livello culturale ma si tratta di donne laureate, magari con un buon lavoro, che all’esterno vivono una vita apparentemente normale ma che, una volta dentro le mura domestiche, si ritrovano a vivere un vero e proprio incubo.
I motivi per cui non denunciano le violenze sono diversi, dalla volontà di salvare le apparenze (molto più diffusa di quanto di pensi) alla presenza di figli, dalla vera e propria paura del proprio uomo fino all’accettazione passiva dello stato di fatto, una condizione psicologica di sudditanza molto più pericolosa e sibillina di altre motivazioni.
Diversi, e sicuramente più numerosi, sono invece i casi di violenza domestica sulle donne musulmane. In questi casi emerge solo 1% delle violenze. I motivi sono di carattere culturale prima ancora che religioso. Nell’universo musulmano la donna nasce e cresce nella convinzione di essere comunque un essere inferiore, creato solo per far figli e servire il proprio uomo. Anche le ragazze di seconda e terza generazione, quelle cioè nate in occidente o arrivate da piccolissime, risentono di questa limitazione culturale e quando non ne risentono o si ribellano a questa condizione, è la famiglia a riportarle sulla “retta via” usando mezzi non propriamente pacifici, arrivando in alcuni casi persino all’uccisione della figlia. Per la donna musulmana, o almeno per buona parte di esse, non è una violenza essere costretta a portare lo hijab o il niqab (una sorta di burqa che lascia scoperti solo gli occhi), mentre invece è palesemente una forma di sottomissione che non ha nulla a che vedere con la religione. Recentemente alcune donne musulmane si sono riunite in associazioni per la difesa dei loro Diritti, ma oltre che a essere costantemente minacciate, non sono ancora così tante da poter incidere veramente. Quella della condizione della donna musulmana è una delle più grandi battaglie che aspettano le donne dell’era moderna e non sarà facile vincerla.
Quello che ora c’è da fare, a mio modestissimo parere, è far uscire il sommerso, portare avanti campagne per convincere le donne vittime di abusi a denunciare la loro condizione anche nei casi in cui la paura di farlo è talmente tanta da interdire qualsiasi azione. Per fare questo occorre fare ancora qualche passo verso la tutela dei Diritti delle donne. Per esempio la legge sullo stalking è sicuramente una buona cosa, ma sarebbe perfetta se fosse abbinata a una legge che punisce la misoginia, cioè che riconoscesse il reato di misoginia come un aggravante. Occorre irrigidire ulteriormente le pene per la violenza sessuale che, diciamocelo francamente, sono davvero ridicole. In molti casi addirittura il violentatore (o i violentatori) non passano nemmeno un giorno in carcere mentre le loro vittime sono segnate per tutta la vita.
La nostra associazione sta lavorando da diversi mesi per l’introduzione di una legge contro la misogina e sembra che finalmente il problema sia stato recepito. Ora occorre fare quel passo in più. Speriamo che ciò avvenga il prima possibile cosi che quelle centinaia di migliaia di donne che subiscono gli abusi in silenzio possano finalmente far sentire la propria voce.
Articolo scritto da Bianca B.
Bello. Hai detto cose assolutamente condivisibili
La legge sullo stalking mi sembra già un buon passo avanti. Sono perplesso su una legge specifica contro la misoginia. Occorre stare attenti a non generalizzare altrimenti ogni volta che una donna non è d’accordo con il proprio uomo oppure litigano per qualcosa potrebbe spuntare il reato di misoginia
Marco, la tua mi sembra una estremizzazione del concetto di interpretazione. Siccome però le leggi vanno applicate e non interpretate il rischio che tu paventi non sussiste