In Africa l’economia cresce in misura maggiore di quella cinese, di quella indiana e di tutti i Paesi del BRIK. Non è una barzelletta, a dirlo è Banca Mondiale la quale misura la crescita complessiva dell’economia africana intorno al 4% con punte, come per il Mozambico, del 8%.
I dati di Banca Mondiale non sono così stupefacenti se si pensa alla ricchezza di risorse di cui dispone il continente africano e che il progressivo “riappropiarsi” di queste risorse aggiunto a un totale cambio nella gestione economica di molti Paesi africani non poteva che produrre ricchezza.
Certo, ancora rimane una grandissima sacca di povertà in Africa (oltre il 40% della popolazione sotto la soglia di povertà), rimangono Paesi in guerra e le risorse non sono distribuite equamente. Ma se si pensa che negli ultimi anni nell’Africa Sub-Sahariana si è passati da un PIL di 342 miliardi di dollari (dato World Bank riferito al 2000) ai 1.306 miliardi di dollari del PIL attuale, di strada se ne è fatta.
I motivi di questa esplosione
I cervelloni di Banca Mondiale individuano i motivi di questa vera e propria esplosione della crescita economica in una migliore gestione delle risorse e in una più equa redistribuzione. Io non sono affatto dìaccordo, o almeno non lo sono del tutto.
Se infatti andiamo a vedere gli otto Paesi africani con la maggiore crescita, che sono (in ordine decrescente): Mozambico (+8%), Etiopia (+7,2%), Nigeria (+6,8%), Ghana (+6,3%), Kenya (+6,2%), Angola (+5,8%), Senegal (+4,7%) e Sudafrica (+3,1%) vedremo che sono stati i primi a svincolare le loro economie dai rigidi parametri macro-economici imposti da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, paesi che hanno iniziato a dare la precedenza alla microeconomia piuttosto che alla macroeconomia. Nel fare questa scelta non hanno trovato la strada spianata perché hanno dovuto rinunciare a parecchi fondi internazionali, ma alla lunga hanno avuto ragione.
Certo, in tutto questo ha aiutato parecchio anche la macroeconomia in crescita grazie alle esportazioni d materie prime e quindi a una bilancia commerciale in attivo, ma le stesse esportazioni le facevano anche dieci anni fa mentre l’economia interna stagnava tra la la povertà e l’estrema povertà. E’ stato lo sviluppo della microeconomia a dare la sferzata vera.
Cosa ci insegna tutto questo?
Quando tra il 2003 e il 2005 io e un piccolo gruppo di persone ci battevamo affinché Banca Mondiale cambiasse radicalmente le sue politiche economiche di sviluppo in Africa venivamo spesso presi per pazzi visionari perché noi si sosteneva che la svolta in Africa poteva arrivare solo con lo sviluppo microeconomico e con il decentramento, con lo sviluppo dell’economia locale e di quella rurale supportata da un adeguato sviluppo tecnologico e infrastrutturale. A Washington invece pensavano solo in termini di grandi numeri. Oggi dopo tanti anni è la stessa World Bank a sancire che avevamo ragione (anche se continua imperterrita a fare la stessa assurda politica).
Il sistema africano applicato in Europa
Si può applicare il sistema africano all’Europa per uscire da questa crisi? Secondo me si. A parte che oggi in Europa si stanno facendo gli stessi errori che si facevano in Africa 10 anni fa, cioè si ragiona solo ed unicamente in termini di grandi numeri, cioè si usano valori macroeconomici per stabile quanto sia in buona salute l’economia di un Paese. Così può succedere che, secondo questi parametri, un inglese viva meglio di un italiano quando è vero l’esatto contrario.
Incredibilmente in Europa si è seguito un percorso inverso da quello africano, cioè si è passati dal benessere e dal lavoro dato dalla microeconomia a ragionare solo in termini macroeconomici. Il risultato lo vediamo oggi.
Fare un passo indietro
Oggi l’Europa (e in particolare l’Italia) si trova a un bivio: o continuare con questa politica autodistruttiva oppure fare un passo indietro tornando a privilegiare l’economia dal basso, quella che non impiega mille operai in una sola fabbrica ma ne impiega 10 in mille fabbriche, quella economia fatta da piccoli artigiani, quella dei piccoli mercati, dei prodotti locali, quella economia agricola che nel corso degli anni si è persa. Ma per farlo dobbiamo abbandonare la strada suicida sin qui intrapresa, quella dove a contare e un unico grande numero e non tanti piccoli numeri messi insieme. Se ci si riuscirà non posso dirlo, ma se per una volta gli europei imparassero dagli africani non sarebbe affatto male.
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