Si è aperta ieri a Copenaghen la conferenza mondiale sul clima alla quale sono legate le tante aspettative di tutto il mondo e in particolare della società civile che chiede con forza che questa volta vengano adottate misure vincolanti per ridurre in modo significativo le emissioni di anidride carbonica e quindi l’effetto serra.
Ma se tutti sono d’accordo che i gas serra sono una minaccia seria per il mondo (anche gli USA ieri hanno rotto gli indugi), ci sono sostanziali differenze su come combatterli e sui tempi di attuazione delle varie strategie. Il problema non è da poco perché mentre molti Paesi (tra i quali l’Italia) vorrebbero impegni vincolanti sulla riduzione del gas serra, alcune nazioni, tra l’altro proprio quelle che inquinano di più, sono decisamente contrari a prendere certi impegni. In particolare la Cina, l’India e il Brasile, cioè i tre Paesi con maggiore aumento in termini di sviluppo, temono che le misure per la riduzione del gas serra possano rallentare lo sviluppo economico con ripercussioni gravi sull’economia.
E sono proprio le ripercussioni sull’economia ad essere il primo nodo del problema. Gli obbiettivi che si pongono i paesi industrializzati occidentali, in particolare i paesi UE, obbiettivi che vorrebbero imporre anche ai paesi in via di sviluppo (Psv), sono molto ambiziosi ma potrebbero rallentare in maniera sostanziale la crescita dei Psv. L’Europa vorrebbe ridurre le emissioni di gas serra del 20% entro il 2020. Gli USA hanno presentato un progetto per ridurle del 30% ma entro il 2030. A livello globale la tendenza è per una riduzione del 20/30% entro il 2030. La Cina ha presentato un suo progetto per la riduzione del gas serra molto simile, negli obbiettivi a quello americano ma deve fare i conti le la sua agricoltura basata molto sulle coltivazioni ad alto impatto ambientale, come quella del riso che, secondo recentissimi studi, produrrebbe emissioni di metano, un gas serra che ha un potenziale riscaldante ben 21 volte superiore a quello dell’anidride carbonica. E poi c’è il problema, non da poco, della riconversione dei motori delle macchine da trazione. Nei Psv le automobili sono per la quasi totalità altamente inquinanti, ma senza adeguati incentivi è impensabile un cambiamento radicale e sufficientemente veloce da apportare i benefici sull’effetto serra nei tempi previsti dai paesi occidentali. Infine, ma forse è il problema più importante, c’è il discorso energetico. Paesi come la Cina, l’India e il Brasile, che hanno una economia in fortissima espansione, hanno assoluto bisogno di immense quantità di energia che al momento viene prodotta quasi esclusivamente attraverso l’uso di materiali fossili (petrolio e carbone), altamente inquinanti. La riconversione di queste fonti di energia non solo potrebbe essere lunghissima, ma potrebbe non bastare e compromettere l’economia dei dei paesi interessati.
Inutile giraci intorno, questi sono problemi reali almeno quanto lo è l’effetto serra e sono alla base delle titubanze di Cina, India, Brasile e Stati Uniti nel firmare un impegno vincolante. Per questo motivo questi quattro grandi Paesi (compresi alcuni piccoli ma con gli stessi problemi) vorrebbero un accordo non vincolante e comunque non omogeneo con tutti gli altri Paesi, una sorta di impegni che non siano considerati come “doveri” ma come “optional”. Su questo trovano la ferma opposizione dei cosiddetti Paesi industrializzati (in particolare i Paesi UE) che si vedrebbero penalizzati economicamente da un “impegno-non impegno” in tal senso. La paura è quella della perdita di competitività sui mercati globali che deriverebbe sia da una spesa complessivamente molto alta per la riconversione delle fonti di energia, sia per il loro maggiore costo iniziale.
Alcuni esperti, per aggirare questo problema, consigliano massicci investimenti nella ricerca tecnologica per trovare fonti di energia pulita a basso costo. Attualmente le uniche fonti di energia pulita sono considerate quella nucleare, quella idroelettrica, quella eolica (o termodinamica) e quella solare. Ma anche alcune di queste comportano controindicazioni che vanno dallo stoccaggio delle scorie nucleari delle centrali atomiche fino all’uso massiccio di minerali quali il Coltan nelle celle dei pannelli fotovoltaici, passando per l’impatto ambientale delle fonti termodinamiche. Difficile mettere d’accordo tutti considerando anche che i tempi stringono e che il pianeta sta veramente andando verso la catastrofe ambientale, checché ne dicano i negazionisti.
Allora cosa ci si aspetta dal vertice di Copenaghen? Innanzi tutto un accordo serio sul risparmio energetico che passi attraverso un piano di sviluppo di opportune tecnologie atte a migliorare i processi esistenti o, meglio ancora, a sostituire tali processi con nuove tecnologie innovative. Per fare questo occorrono immediatamente fondi da destinare alla ricerca. Nel frattempo ci si aspetta un piano di emergenza, anche transitorio, per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Per implementare questi due piani è logico che occorrono grandi risorse economiche. Per questo non si può fare a meno di coinvolgere le grandi istituzioni mondiali, da Banca Mondiale al Fondo Monetario Internazionale evitanto assolutamente di dare un compito del genere alle Nazioni Unite che, come hanno dimostrato in tutti questi anni, sono solo un pozzo mangiasoldi senza fondo. Quello che serve, quindi, è un approccio decisamente diverso al problema evitando di fare errori come quelli fatti in occasione del tanto pubblicizzato quanto inutile Protocollo di Kyoto. Ci riusciranno i grandi della terrà? Lo vedremo nei prossimi giorni, ma i dubbi sono purtroppo tanti. E intanto la Terra sta morendo e nemmeno tanto lentamente.
Articolo scritto da Elisa Arduini