Torna di stretta attualità la questione del nucleare iraniano dopo che ieri Teheran ha annunciato che supererà i limiti relativi all’arricchimento dell’uranio imposto dal JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action).
Secondo gli iraniani la decisione è perfettamente in linea con quanto stabilito quattro anni fa dall’accordo sul nucleare iraniano il quale prevedeva che in caso di inadempienza di una delle parti, l’altra avrebbe avuto il diritto di recedere dall’accordo anche se avrebbe comunque dovuto seguire un preciso iter dettato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Per Teheran a violare il JCPOA sono stati gli USA nel momento in cui si sono ritirati dall’accordo e hanno imposto nuove sanzioni all’Iran, un ragionamento che a livello giuridico purtroppo fila, a prescindere dal fatto che effettivamente il JCPOA era un accordo fatto malissimo.
Ora la domanda che ci si pone è se il presidente americano, Donald Trump, ha o meno una strategia, se cioè ha in mente un piano preciso oppure naviga a vista.
Per abbaiare abbaia molto, ma fino ad ora – fatta eccezione per le sanzioni – si è limitato a sterili minacce. Neppure l’abbattimento di un drone da parte dei Pasdaran iraniani lo ha spinto a una reazione militare.
L’atteggiamento di Trump verso l’Iran ricorda molto da vicino quello che tenne Barack Obama con la Siria. Tante minacce, tante linee rosse regolarmente superate, ma nessun intervento di quelli minacciati.
Errori di valutazione?
Probabilmente il Presidente Trump ha fatto due errori di valutazione. Il primo è quello che riguarda le sanzioni imposte all’Iran che avrebbero dovuto stendere il regime iraniano e portarlo a più miti consigli e quindi a rivedere il JCPOA e accettare regole più stringenti. Quelle sanzioni fino ad ora hanno colpito i cittadini iraniani ma non hanno minimamente intaccato il potere degli Ayatollah e soprattutto quello delle Guardie rivoluzionarie.
Il secondo errore di valutazione, forse il più grave, è stato l’aver sottovalutato le conseguenze regionali di un attacco all’Iran. Teheran dispone di diversi proxy, alcuni come Hezbollah con veri e propri eserciti potenti e ben armati, che possono fare parecchio male sia agli stessi Stati Uniti che ai suoi stretti alleati come Israele.
Non puoi attaccare l’Iran senza mettere nel conto che i suoi proxy reagiranno molto violentemente innescando una escalation regionale difficilmente controllabile.
Questo, molto probabilmente, ha fermato all’ultimo momento la ritorsione americana dopo l’abbattimento del drone americano. I generali, che invece conoscono bene la situazione, per una volta hanno convinto il Presidente americano a ingoiare il rospo senza reagire.
Quale piano?
Pochi giorni fa Teheran ha fatto trapelare l’indiscrezione che oltre a tornare ad arricchire l’uranio sopra i limiti consentiti dal JCPOA, avrebbe anche riesumato il reattore di Arak, attualmente sepolto da una colata di cemento così come prevedeva l’accordo sul nucleare iraniano.
Ora, l’impianto di Arak non è proprio come tutti gli altri perché serve per produrre acqua pesante, un elemento indispensabile per produrre una arma nucleare al plutonio.
Se per quanto riguarda l’arricchimento dell’uranio gli iraniani possono sempre dire che sia per uso civile fino a che non supera una certa soglia di arricchimento, per quanto riguarda il plutonio il discorso è completamente diverso.
L’impianto di Arak non può essere quindi classificato come un impianto civile. Per di più è molto più facile e veloce costruire ordigni al plutonio piuttosto che usando uranio arricchito.
Quindi, se quanto affermato dagli iraniani dovesse corrispondere al vero, come purtroppo crediamo, cosa farà il Presidente Trump? Si prenderà la responsabilità di distruggere l’impianto di Arak o lascerà che siano gli israeliani a farlo? Perché se gli Ayatollah dovessero davvero riattivare quell’impianto non ci sarebbe altra scelta che distruggerlo.
E qui torniamo alla domanda iniziale: Trump ha un piano oppure naviga a vista? Senza pretendere di conoscere i piani dell’amministrazione americana, temiamo purtroppo che Trump si sia infilato in una bruttissima faccenda. Se non fa niente (militarmente) gli Ayatollah lo prenderanno come un segno di debolezza (come nel caso del drone) e andranno avanti spediti per la loro strada. Se fa qualcosa probabilmente innescherà una reazione a catena regionale difficilmente gestibile.
Speriamo che il Presidente Trump abbia un piano, che abbia studiato tutte le conseguenze delle sue azioni consapevole che comunque, qualsiasi cosa decida, Israele si troverà in prima linea.
Di contro siamo invece convinti che a Gerusalemme un piano ce l’hanno ma che non possono attuarlo senza il preventivo consenso americano. A suo tempo quel piano venne bloccato da Obama. Cosa farà Trump consapevole che comunque dovrà spostare velocemente truppe e mezzi in Medio Oriente?