Immigrati: dove finiranno tutti quelli che la Francia non vuole?

Articolo scritto da Wirginia Loboda – Calais è sempre più vuota rispetto agli anni scorsi, quando centinaia di uomini aspettavano in fila il loro turno per consumare un pasto caldo. Questo non significa che l’emergenza immigrazione sia passata, ma soltanto che la strategia del governo francese sta avendo il suo successo. Ripulire il confine per dar impressione che il problema non esista, per nasconderlo, magari nelle periferie delle grandi città come Parigi. Ora, in totale caos dei permessi temporanei e della guerra diplomatica tra l’Italia e la Francia, è molto probabile che la situazione torni ad essere la stessa di qualche anno fa.

2 aprile -“E’ già arrivato il primo libico”- sono le parole di una volontaria dell’associazione Salam che insieme ad altre associazioni caritative come Auberge des Migrants dona giornalmente  la sua vita ad altri. Calais sembra comunque vuota rispetto ai vecchi tempi. Gli immigrati preferiscono aspettare l’imbarcazione in altre città francesi, invece che vivere sotto i continui blitz dei poliziotti. Sono tanti rimasti a testimoniare l’inefficienza del sistema immigratorio europeo. Per la maggior parte sono degli “scarti” umani che altri paesi non hanno accettato, oppure ai quali hanno dato un pezzo di foglio e una parola “d’incoraggiamento “:“arrangiati”. Cosi è stato con un ragazzo afgano, riconosciuto rifugiato dal Ministero italiano, ma abbandonato a sé stesso insieme a tanti altri che vivono a Roma nei pressi della stazione Piramide.

Molti si trovano nella sua stessa situazione;  alcuni sono stati fermati in Grecia, che dai tempi dei respingimenti italiani verso la Libia è diventata il punto principale di passaggio verso  l’Europa. La Francia ha abbandonato la tattica troppo costosa dei respingimenti , attuata con il clamoroso sgombero della jungle afgana del 2009. È molto più  semplice far sì che gli stranieri abbandonino Calais di loro “spontanea” volontà , a forza di assalti notturni, distruzione delle loro abitazioni, di botte e di un continuo senso di inquietudine. Cosi, secondo questa strategia, dopo la distruzione dell’afgana “jungle”, alla fine di marzo 2011, si procede alla distruzione dell’African House, vecchi  magazzini diventati centro della comunità africana.

In condizioni di totale povertà, gli immigrati hanno costruito una loro “casa”, adibendo il piano superiore al dormitorio, e gli enormi piani di sotto, alla cucina, salotto , luogo d’incontro accanto ad un falò. Sulle mura ci sono delle scritte in arabo, persiano e poi l’alfabeto latino, testimone di qualche lezione clandestina di francese, donata da un volontario. La distruzione è cominciata a ottobre, ma non per mano dei poliziotti, ma di altri poveri, alcuni romeni , che hanno spaccato le finestre per tirarne fuori tutte le materie prime possibili. È la guerra dei poveri. Senza le finestre però l’inverno, già rigido nella cittadina marittima, è diventato insopportabile ancor prima che arrivasse il vero freddo.

Sei mesi dopo, sono sempre loro, i romeni, a tornare sulle macerie dei piani superiori di queste abitazioni per recuperare il più possibile. Un padre con un figlio di più o meno otto anni si raggira sul cimitero di macerie mescolato ai vestiti e alcuni utensili di casa. Questa distruzione è l’opera dei bulldozer e della politica francese di “disumanizzazione”.  Senza una casa, gli stranieri sono costretti a stufarsi, a cambiare la rotta e a rendersi meno visibili nelle grandi città francesi, e a non spaventare i primi turisti dell’anno, precludendo cosi l’andamento della stagione estiva. L’invisibilità da l’illusione che il problema non esiste.

Ma le ombre dei fantasmi neri , che due volte al giorno fanno il loro solito giro verso il porto, luogo di distribuzione dei pasti, non passano inosservati.  Ecco perché i poliziotti francesi non rispettano più il “coprifuoco” negli orari prestabiliti, le retate vengono effettuate in qualsiasi momento ed ecco perché nessuno più vuole rimetterci la vita negli incidenti di “percorso”.  L’anno scorso una giovane ragazza eritrea ha perso la vita nella fuga dalle autorità francesi, quest’inverno, più o meno nelle stesse circostanze, un uomo afgano è morto annegato dopo essere caduto in un canale. “ Non si sa più niente nemmeno di  altri due stranieri dei quali si sono perse le tracce, anche se le reti d’informazione immigratorie funzionano meglio dell’FBI .

Cosi gli immigrati fuggono da laddove credevano di trovare finalmente pace, dopo aver rischiato la vita attraversando mezzo mondo e mezza Europa nascosti sotto un camion. “ Siamo immigrati e per questo siamo costretti a migrare sempre. E forse per questo non troviamo mai pace”- racconta un ragazzo eritreo, fuggito dal suo paese d’origine per la fame. “ Vogliamo solo lavorare, dove c’è lavoro c’è casa”.  Lui fa parte di quelli che hanno battuto il “nuovo” percorso (quello precedente la guerra in Libia, e causato dagli accordi italiani con Gheddafi) verso l’Italia e poi verso la Francia. È passato dalla Turchia, la Grecia e poi si è imbarcato su una delle tante imbarcazioni verso il suolo italiano.

A causa dell’inasprimento dei controlli e delle crescenti difficoltà, molti preferiscono passare dalla Turchia per la Bulgaria, poi Serbia e poi verso l’Europa occidentale.  Ecco perché il Consiglio d’Europa era cosi tanto soddisfatto per la fine dei negoziati sugli accordi di riammissione con il vecchio impero ottomano.

E’ questa la tattica dell’EU, chiudere tutte le porte, tutte le frontiere esterne, in maniere tale che l’Europa diventi una vera e propria fortezza.  La commissaria Malmstron, sempre presente in tutti i negoziati  sugli  accordi di riammissione con gli stati terzi, ha anche detto di voler rintrodurre i controlli frontalieri all’interno della stessa EU. Si teme che gli immigrati possano scegliersi un paese di residenza temporanea o non , in piena legalità, senza essere perseguitati dalle forze dell’ordine. Si teme inoltre, che di fronte all’inospitabilità e disorganizzazione dell’Europa centrale, gli immigrati cerchino di raggiungere paesi come la Gran Bretagna, che offre molta più protezione ai richiedenti d’asilo.

Fatto sta che di fronte alle decisioni prese e da prendere, si teme che Calais in pochi mesi raggiungerà livelli di qualche anno fa, si teme inoltre che la risposta delle autorità sia ancor più violenta. Spostati da una parte all’altra , da uno sgombero all’altro, rimbalzati tra i diversi stati europei, sarebbe più consono non parlare più di immigrati, ma di “migranti”, e non per scelta loro, ma a causa dell’incapacità della politica europea di  gestire la situazione odierna.

Wirginia Loboda

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