Puzza di piscio e feci. E’ questo l’odore che ti rimane nel naso per giorni quando ti succede di capitare nel teatro di una strage. La maggior parte di quei poveretti dopo essere stati massacrati rilascia il contenuto dell’intestino e della vescica. Quell’odore è così pungente da superare tutti gli altri, compreso quello di carne bruciata, e rimane nelle narici per giorni, ti sembra di sentirlo ovunque.
C’è stato un momento, nei primi anni duemila, in cui in tutta la zona dei Grandi Laghi, in Africa, imperversavano conflitti di ogni tipo. Il Lord’s Resistence Army, più conosciuto come LRA di Joseph Kony, imperversava in nord Uganda. Nel confinante Sud Sudan la guerra tra i ribelli cristiani di John Garang (poi morto in un misterioso incidente dopo aver ottenuto l’indipendenza) e i musulmani del nord arrivava a livelli mai visti prima. Nella vicina Repubblica Democratica del Congo le stragi di civili erano all’ordine del giorno. E non parliamo di normali stragi, ma di qualcosa di estremamente violento, quasi sadico nella sua violenza. Donne, vecchi, bambini e uomini torturati senza pietà, le loro labbra e i capezzoli delle donne tagliati con il macete, persone di ogni età date alle fiamme, percosse con bastoni, letteralmente torturate in maniera assolutamente sadica. Ebbene, quelle guerre che facevano migliaia di morti (milioni se si guarda al Congo) erano derubricate a “conflitti locali”. In occidente nessuno ne parlava, meno che meno i media (allora l’informazione in rete muoveva i primi passi). Era come se questi grandi conflitti non esistessero.
I rifugiati erano tutti considerati “rifugiati interni” perché non scappavano in altri paesi ma si allontanavano dai loro villaggi il meno possibile, spesso andando a finire in putridi campi di accoglienza, i cosiddetti IDP camp (internally displaced person) dove rimanevano anche per anni. Ad ogni strage c’era un nuovo esodo di massa. Non fuggivano verso il nord, verso l’Europa, anche se sin da allora esisteva un sistema ben organizzato per favorire l’emigrazione verso il nord del mondo.
Ora qualcuno si chiederà perché mai ho fatto questa lunga pantomima che qualche leone da tastiera non esiterà a definire “buonista e piagniucolosa”. E’ presto detto: perché queste cose da quelle parti esistono ancora. Dai primi anni duemila non è cambiato un gran che.
Chi va a fare il cooperante in quelle aree ci va perché sa cosa succede, non va in vacanza, non va a portare civiltà, non è un suo compito. Chi va da quelle parti ci va perché sa che hanno bisogno di aiuto, lo fa perché ha un coraggio da leoni e certamente non va a fare una vita comoda e piena di agi.
Leggendo diversi (troppi) commenti orridi e deprecabili sul rapimento della cooperante italiana in Kenya (si chiama Silvia Costanza Romano ed ha solo 23 anni) non posso fare a meno di pensare che gli autori di quei commenti altro non siano che imbecilli, webeti, come direbbe Mentana. Gente che non sa nulla né di quello che succede da quelle parti né del coraggio che ci vuole per fare quel lavoro, soprattutto se si è donne.
Gente che al massimo ha imparato a digitare su una tastiera senza collegarla al cervello. Gente che magari fino a un minuto prima diceva «aiutiamoli a casa loro», ma poi non appena viene a sapere che c’è qualcuno che veramente ha il coraggio di aiutarli a casa loro correndo i rischi che si corrono in questi casi, non perde occasione per dimostrare il proprio cretinismo.
Per assurdo dovremmo essere fieri che giovani italiane e italiani scelgono di andare ad aiutarli a casa loro, per assurdo dovrebbe essere una cosa che ci riempie d’orgoglio. Invece il nostro paese è ormai in mano a questi leoni da tastiera rancorosi che quando si alzano la mattina la prima cosa che pensano è quale cretinata spareranno per farsi notare, per sprizzare odio da ogni poro.
E invece di essere preoccupati per questa ragazza, orgogliosi e preoccupati, dimostrano tutta la loro stupidità denigrandola sul web. Leoni da tastiera che non ruggiscono, miagolano solo cretinate a raffica.