Mahmoud Abbas, nome di battaglia Abu Mazen, presidente “per forza” della Autorità Nazionale Palestinese (ANP), non teme le elezioni dato che si guarda bene dall’indirle, teme però gli oppositori.
Il più temibile oppositore di Abu Mazen è senza dubbio Mohammed Dahlan. Ex capo della sicurezza a Gaza per Fatah, ex portavoce dello stesso Fatah, venne estromesso dal partito nel 2011 con l’accusa di essersi appropriato di 16 milioni di dollari, accusa che lo costrinse a fuggire a Dubai.
Dahlan è accusato – sempre da Abu Mazen – anche di aver collaborato con Israele nell’uccisione del leader di Hamas, Salah Shehade, ucciso nel 2002 e addirittura di essere in qualche modo implicato nella morte di Yasser Arafat, feticcio sempre buono da tirar fuori nei momenti di difficoltà.
Ora l’ultima accusa che il Presidente palestinese rivolge a Mohammed Dahlan è quella di aver collaborato nell’iniziativa che ha portato al trattato di pace tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, una accusa che vista dalla parte palestinese è gravissima perché prefigura il tradimento.
Così ieri il perenne Presidente palestinese ha ordinato l’arresto di una mezza dozzina di sostenitori di Dahlan tra i quali Haytham al-Halabi e Salim Abu Safia, non proprio due personaggi qualsiasi.
Le accuse? Al momento in cui scrivo non si conoscono ma sono sicuro che la fantasia del perenne presidente palestinese saprà ovviare a questa temporanea mancanza.
Una fonte araba mi rivelava qualche mese fa che la fazione palestinese che faceva capo a Mohammed Dahlan stava diventando sempre più forte in Giudea e Samaria (la c.d. Cisgiordania) e che in caso di elezioni (se mai avverranno) un candidato esponente di quella fazione potrebbe essere appoggiato anche da Hamas.
È chiaro che ad Abu Mazen tutto questo non piaccia, specie in un momento in cui a seguito degli accordi tra Israele e Paesi arabi, appare particolarmente debole e isolato persino dagli arabi. E quale cura migliore di qualche buon arresto, meglio se di qualità, per rimarcare la propria autorità?