Se c’è una cosa giusta che sostiene il Governo di Khartoum riguarda alla crisi in Darfur è che “è impossibile arrivare ad un accordo di pace quando la controparte (i ribelli) è fortemente divisa la suo interno”.

Non lo sostiene solo Khartoum ma anche gli ex ribelli del Sud, quel Sudan People Liberation Movement (Splm) che ha condotto contro il Governo centrale una guerra durata oltre venti anni prima di arrivare ad un accordo di pace che, tra alti e bassi, regge dal 2005. Fu infatti il defunto John Garang a unire sotto un unico nome tutti i gruppi ribelli presenti in Sud Sudan e a costringere così il Governo a venire a patti. Ma ci mise del tempo prima di capire che solo unendo tutti, le varie tribù e le varie etnie, poteva sperare di sedersi ad un tavolo delle trattative e parlare alla pari con Khartoum. Ora la storia i ripete in Darfur.

Paradossalmente è proprio Khartoum che lo chiede. Nei giorni scorsi il Consigliere del Presidente al-Bashir per il Darfur, Ghazi Salah Al-Deen, è stato molto chiaro nel chiedere ai ribelli di “trovare una via comune e condivisa tra tutti i gruppi” e di sedersi quanto prima al tavolo delle trattative. Ghazi Salah Al-Deen chiede anche ai ribelli di stabilire una tabella precisa di marcia per arrivare ad un accordo di pace.

Purtroppo la cosa non sembra così facile. A parte una ventina di gruppi minori formati prevalentemente da banditi, i gruppi ribelli più importanti sono due: il JEM (Justice and Equality Movement) e il SLM-RF (Sudan Liberation Movement – Revolutionary Forces) ennesima trasformazione dell’originale Sudan Liberation Movement. Nei giorni scorsi era arrivata alla sede del SLM-RF di Tripoli (in Libia) una chiara proposta del JEM per un incontro nel quale discutere una unione strategica tra i due gruppi allo scopo di presentare una unica proposta al tavolo delle trattative organizzato per i primi di marzo a Doha, in Qatar. Purtroppo il SLM-RF ha rifiutato l’offerta adducendo motivazioni onestamente poco chiare. Si ha l’impressione che dietro al Sudan Liberation Movement – Revolutionary Forces ci siano interessi di potenze straniere (Libia e Francia?) che non hanno alcun interesse far si che la guerra in Darfur abbia fine. E’ infatti incomprensibile come ufficialmente il SLM-RF si dica disposto a trattate con Khartoum anche insieme ad altri gruppi ribelli e poi rigetti non una proposta di accordo, ma addirittura una proposta di incontro con il JEM.

Il Governo sudanese, spinto anche da quello sud-sudanese, vuole raggiungere un accordo di massima prima delle elezioni nazionali e quindi entro aprile. E’ vero, Bashir è spinto da altri interessi, però per una volta gli interessi governativi potrebbero combaciare con quelli dei ribelli se solo questi ultimi riuscissero a formare un fronte comune. Salva Kiir, Presidente del Sud Sudan e primo vicepresidente del Sudan, lavora da molti mesi all’unità dei gruppi ribelli del Darfur proprio per arrivare ad un accordo tra le parti dove per “parti” si intendono il Governo sudanese da una parte e una rappresentazione di tutto il Darfur dall’altra. Purtroppo, come affermato qualche settimana fa dallo stesso Kiir in una riunione a Juba, gli interessi di altre nazioni hanno impedito che si arrivasse a questo traguardo. Ora potrebbe essere l’ultima chiamata utile proprio perché il Governo di Khartoum ha fretta di chiudere. L’Onu dovrebbe intervenire, ma come sempre non lo farà rimanendo semplicemente ai margini. L’Unione Africana non ha né il potere né i mezzi per farlo. Spetta a Unione Europea e agli Stati Uniti fare pressione su quegli Stati (Libia e Francia?) che fino ad oggi hanno impedito l’unione dei gruppi ribelli del Darfur. In particolare sulla Libia, che sta dietro al Sudan Liberation Movement – Revolutionary Forces potrebbe incidere un intervento italiano mentre gli Stati Uniti potrebbero agire sulla Francia e sull’Etiopia che appoggiano il Justice and Equality Movement. Mettere insieme questi due gruppi ribelli potrebbe essere la mossa vincente per raggiungere la pace in Darfur, ammesso che lo si voglia veramente.

Articolo scritto da Andrea Pompei