Donna pakistana lapidata in casa: fenomeno da non sottovalutare

4 Ottobre 2010

In un momento in cui si parla tanto di lapidazione in Afghanistan, Pakistan e Iran, fa impressione sapere che in Italia una donna pakistana sia stata ammazzata a sassate dal marito per aver preso le difese della figlia costretta ad un matrimonio imposto. Una sorta di lapidazione fatta in casa.

Eppure non dovrebbe stupire più di tanto o almeno bisognerebbe stupirsi per il grande coraggio mostrato da questa donna nell’opporsi al marito/padre/padrone, ma non per la violenta reazione del “buon musulmano” che di fatto ha lapidato la moglie per quel moto di coraggio in difesa dei Diritti della figlia.

Sono migliaia le donne islamiche residenti in Italia che ogni giorno devono fare i conti con questa realtà, che ogni giorno devono subire le violenze dei mariti senza fiatare, donne che vedono le proprie figlie, magari nate e cresciute in Italia, dover sottostare alle stesse imposizioni alle quali sono state sottoposte (e lo sono tuttora) loro.

L’argomento principe, specie tra le paladine dei Diritti delle donne di destra, negli ultimi tempi è stato il burqa come se fosse l’indossare questo indumento la base di tutte le violazioni dei Diritti alle quali sono sottoposte le donne islamiche. Invece, se andiamo a vedere solo appena il 2% le donne islamiche costrette a indossare il burqa, mentre sono oltre il 60% quelle che dichiarano, dietro intervista anonima, di essere costrette a subire le violenze dei mariti, di essere costrette a sposare un uomo che non amano, che denunciano violenza sessuale, che vivono con mariti poligami ecc. ecc. Intendiamoci, io come questa associazione siamo favorevoli al divieto di indossare il burqa che riteniamo una imposizione umiliante, ma riteniamo che il vero problema non stia nel burqa ma nella condizione delle donne islamiche più in generale.

Prendiamo per esempio quanto successo ieri nella provincia di Modena. C’è un padre pakistano che vuole dare la figlia in sposa ad un uomo scelto da lui. Si chiama “matrimonio combinato” e in questi casi la figlia non ha alcun titolo per dire la sua. Deve semplicemente accettare la scelta del padre. Quella dei matrimoni imposti è una pratica molto diffusa tra la comunità pakistana (ma anche indiana) e generalmente nessuna donna osa ribellarsi alla decisione del capofamiglia. Ieri questo non è avvenuto e madre e figlia si sono ribellate. Risultato? La madre uccisa a sassate e la figlia in fin di vita, ferita gravemente da sprangate. E’ la tipica punizione che si riserva in Pakistan alle donne “ribelli”. C’è qualcuno in Italia che sia in grado di dire in quante famiglie pakistane avviene questo fenomeno dei matrimoni combinati? Nessuno. Noi abbiamo solo una serie di interviste anonime fatte online che ci dicono che il fenomeno è molto diffuso, ma è altrettanto vero che nessuna donna pakistana o islamica si è fatta avanti per denunciare apertamente il fatto. Le poche che lo hanno fatte sono costrette a vivere sotto protezione o sono state ammazzate.

Ecco, io inviterei i tanti che si riempiono la bocca con i “Diritti delle donne islamiche” e con il “divieto a indossare il burqa” a riflettere invece attentamente su queste cose e a fare qualcosa per proteggere seriamente quelle donne che non accettano tale imposizione. Ma soprattutto inviterei a non farsi ingannare dalle apparenze. Fuori dalle mura domestiche queste donne spesso appaiono normali, ma quando rientrano in casa devono sottostare alle peggiori violenze fisiche e psicologiche che si possano immaginare. Non sto generalizzando, ma posso affermare senza paura di essere smentita che una donna islamica (specie di determinate etnie come le pakistane) non si possono permettere il lusso di contraddire o semplicemente far adirare il marito, perché nella migliore delle ipotesi sono botte.

Adesso che c’è scappato il morto (la morta) assisteremo al solito teatrino di dichiarazioni indignate e spesso con un retro-obbiettivo discriminatorio e finemente razzista. Tra pochi giorni questa finta indignazione sarà passata e tutto tornerà esattamente come prima. Invece il movimento femminista islamico va aiutato ogni giorno e soprattutto va supportato attivamente con leggi che proteggano quelle donne che decino di uscire dall’incubo. Il burqa, cari signori, è solo la punta dell’iceberg, quella più evidente.

Amina A.

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