Gli schiavi del 21esimo secolo: uno sguardo sul problema migranti
Un recente rapporto della International Labour Organisation (ILO) ha calcolato che la nuova schiavitù del 21esimo secolo frutta ai mercanti di esseri umani qualcosa come 150 miliardi di dollari l’anno. Ma è solo la punta dell’iceberg perché il rapporto della ILO prende in considerazione solo lo sfruttamento delle persone e non quello che lo genera, cioè nel suo calcolo considera solo l’atto finale di una lunga catena di sfruttamento che parte da lontano e che ha come passo fondamentale il trasferimento di massa di persone da un luogo all’altro del pianeta.
Ed è proprio dal quella che da noi continuano a chiamare “immigrazione” che parte il fenomeno della moderna schiavitù. La maggior parte dei disperati che arrivano a migliaia sulle nostre coste infatti non ha il denaro necessario a pagare il trasbordo ed è quindi costretto ad accettare di lavorare in vere e proprie condizioni di schiavitù per pagare il viaggio. Alcuni di loro, in special modo le donne, devono accettare di prostituirsi e spesso lo devono fare anche quando sono arrivate in occidente. Ma c’è anche un fenomeno nuovo di cui si parla poco che è la prostituzione maschile, giovanissimi ragazzi abusati ripetutamente che finiscono nel florido mercato arabo della prostituzione maschile.
Quello che esce da queste ricerche è un quadro impressionante che disegna una organizzazione globale e ben organizzata di trafficanti di esseri umani, una serie di strutture collegate tra loro che usano l’enorme massa di disperati per dare vita a un vero e proprio mercato di schiavi globalizzato, persone che vengono usate e abusate, sfruttate in maniera impressionante e senza distinzione di età, sesso o razza.
E così i 150 miliardi di dollari frutto del lavoro/schiavitù non sono altro che la conseguenza di un altro sfruttamento, ben più redditizio del primo, quello dello spostamento di grandi masse, della fuga dalle guerre e dalla povertà. Secondo il Centro Analisi africano ogni “migrante” frutta al suo sfruttatore tra i 15.000 e i 35.000 dollari l’anno, una cifra che arriva a 50.000 dollari se si tratta di donne destinate al mercato della prostituzione, un mercato dove la domanda negli ultimi tre anni è triplicata e, come detto, si è differenziata aprendo la porta alla prostituzione maschile. Se consideriamo che si stima che attualmente solo in nord Africa ci siano oltre 700.000 disperati pronti a partire e che quelli che stanno “lavorando” per racimolare la somma necessaria siano almeno 1,5 milioni la somma di denaro che finisce nelle mani dei trafficanti di esseri umani è decisamente superiore ai 150 miliardi l’anno denunciati dalla ILO.
Ed è qui che l’occidente dovrebbe aprire una riflessione seria. In questi giorni stiamo tutti guardano le decine di barconi stracarichi di disperati che arrivano sulle coste italiane credendo che il problema sia come accogliere in maniera dignitosa poche migliaia di persone. Ma è come guardare il dito e non la luna. Se non ci si decide ad ammettere che dietro a questo fenomeno ci sia una vera e propria organizzazione globale che decide i flussi migratori a seconda dello sfruttamento che ne deve fare e non ci si decide a combatterla seriamente, sempre più persone finiranno nel grande mercato di schiavi globale del 21esimo secolo. Il problema non è il barcone, ma cosa c’è dietro a quel barcone. Il problema non è accogliere qualche migliaio di disperati ma capire come fare a non farli finire nella rete dei trafficanti di esseri umani. E non è certo l’arresto di qualche scafista a risolvere il problema.
Noi siamo convinti che occorra affrontare il problema partendo dal ritorno all’uso della Cooperazione allo Sviluppo e all’applicazione di un programma serio di prevenzione della “fuga di massa” dai paesi d’origine. E per favore sfatiamo il mito che la maggioranza dei disperati che arrivano sulle nostre coste siano rifugiati che fuggono da guerre e regimi sanguinari. Il loro nemico principale è la fama, la povertà endemica. E allora occorre inquadrare bene quali sono i nemici per poterli combattere. Solo così potremo mettere fine a questo fenomeno che senza tanti giri di parole possiamo chiamare schiavitù del 21esimo secolo.
[glyphicon type=”user”] Scritto da Bianca B.
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