L’America in crisi, l’Europa in crisi, persino manifestazioni nel cuore di Israele. Per gli odiatori di professione questi giorni devono essere un vero e proprio orgasmo, un insieme di sensazioni di soddisfazione come mai era loro capitato di provare.
Naturalmente quando parlo di “odiatori di professione” mi riferisco a quella larga schiera di personaggi che si definiscono “pacifisti” o, nella migliore delle ipotesi “attivisti”, quelli che danno le colpe di tutti i mali del mondo agli USA e naturalmente alla lobby ebraica e quindi a Israele. Per loro vedere che gli USA sono in difficoltà e che la gente è scesa in strada in Israele per chiedere maggiore giustizia sociale è di gran lunga più interessante delle quotidiane stragi che avvengono in Siria o delle repressioni che da anni continuano in Iran. I morti siriani e iraniani non hanno lo stesso peso degli altri perché Assad e Ahmadinejad sono gli idoli degli odiatori pacifisti.
Beh, non vorrei davvero rompere le uova nel paniere dell’orgastico pensiero odio-pacifista che anima questi signori, ma gli inviterei a non gioire troppo e a non usare le manifestazioni di piazza in Israele per sostenere fantasiose tesi filo-palestinesi. I ragazzi scesi in piazza a Tel Aviv e in altri centri israeliani lo hanno fatto portando con se le bandiere israeliane e i palestinesi non c’entrano niente. Faccio questa precisazione perché ho visto su diversi siti web che qualcuno sosteneva che le manifestazioni israeliane erano a favore della causa palestinese anche se indirettamente. In sostanza qualcuno sosteneva che la richiesta di una maggiore giustizia sociale da parte dei giovani israeliani coincideva con la fine del concetto di difesa di Israele come priorità assoluta e che poneva al Governo di Gerusalemme altre priorità.
In parte può essere anche vero, ma nessuno (e dico nessuno) di quei ragazzi sottovaluta la fondamentale importanza che riveste la difesa di Israele e non è assolutamente vero che avrebbero chiesto un taglio dei fondi destinati alla difesa per farli confluire su altre priorità, come gli incentivi per le abitazioni o per le giovani coppie. Hanno chiesto maggiori fondi per il sistema sociale e hanno chiesto di tagliare le spese superflue, tra le quali vi sono anche alcuni incentivi dati a pioggia alle colonie. Ma da qui a sostenere che quei giovani indignati israeliani, come qualcuno si è affrettato a chiamarli, si siano schierati con i palestinesi e contro i coloni ce ne passa.
Israele è una democrazia e, piaccia o meno, come in ogni paese democratico ci sono persone che non sono d’accordo con l’operato del governo e che vorrebbero una politica diversa. In questo caso sono giovani che giustamente pretendono che il loro Governo faccia molto di più per loro e per garantirgli un futuro migliore. Nessuno di loro pensa però che vi possa essere un futuro migliore togliendo la difesa di Israele dalle priorità anche perché in quel caso non ci sarebbe nessun futuro. Se proprio vogliamo andare a cercare il pelo nell’uovo, quei ragazzi ce l’hanno con i coloni e con gli ultraortodossi ai quali il Governo concede agevolazioni e privilegi che a loro non vengono concessi. Ma è una faccenda interna che riguarda esclusivamente Israele, non si facciano illusioni gli odiatori.
Sharon Levi
Ben detto, Sharon Levi , e nulla da eccepire. Purtroppo, per dirla con un gioco di parole, non c’è nemmeno da illudersi che questi odiator-pacifisti- e i loro sostenitori nei mass-media- smettano di “illudere” se stessi ed ingannare gli altri con false trasposizioni linguistiche. Una fra tante che riguarda il loro uso delle parole,che è diventato corrente: l’equazione tra disarmato e non-violento. In certi casi si è molto più forti da disarmati che da armati e quindi la scelta disarmata viene operata sulla base di un criterio di efficacia, e non certo etico, come l’espressione non-violento suggerirebbe.
Se, per esempio, a settembre -in occasione della richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese che sarà presentata dall’OLP alle Nazioni Unite, si dovessero verificare delle azioni disarmate di massa contro i check point finalizzate a distruggerli, si potrebbe parlare di non violenza? E i tentativi effettuati di violare i confini presidiati da Israele sulle alture del Golan sarebbero stati per caso non violenti? Questo è invece quanto passa il convento di molta stampa.
Spero che il mio discorso non sia considerato fuori tema rispetto all’argomento trattato nell’articolo.Non sono certo l’unico a pensare
che il controllo e il potere di determinare l’uso e le relazioni tra parole che descrivono e giudicano i fatti siano la vera posta in gioco in questo come in qualunque contenzioso.