L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è letteralmente in bancarotta. I donatori hanno chiuso i rubinetti e il Primo Ministro palestinese, Salam Fayyad, ha annunciato domenica scorsa che per il mese di luglio gli stipendi dei dipendenti statali verranno dimezzati. Se la situazione continua così non è escluso che da agosto si provvederà a moltissimi licenziamenti.
Secondo Fayyad sarebbe colpa della perdurante crisi internazionale se l’Autorità Nazionale Palestinese si trova oggi sull’orlo della bancarotta. Il Primo Ministro palestinese infatti fa notare che alcuni donatori tradizionali come la Tunisia, la Libia e l’Egitto abbiano diversi problemi interni per cui non gli è possibile contribuire come negli anni scorsi. Poi, sempre secondo lui, c’è la crisi economica che ha tarpato le ali ai donatori europei e agli Stati Uniti. Infine la crisi avrebbe attanagliato anche Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman e tutti gli altri Paesi del Golfo solitamente generosi con i palestinesi. Peccano che non sia proprio così.
Se in effetti su Egitto, Tunisia e Libia potrebbe aver ragione, i motivi per cui gli altri donatori hanno tagliato i viveri alla ANP sono ben altri. In primo luogo c’è l’accordo con Hamas che ha costretto gli Stati Uniti e molti donatori europei a interrompere immediatamente qualsiasi finanziamento, così come annunciato all’indomani di quell’accordo. L’Arabia Saudita ha fatto sapere ad inizio anno di essere stanca di finanziare i conti segreti all’estero della nomenclatura della ANP così ha tagliato enormemente le donazioni. Stesso discorso per gli Emirati Arabi Uniti che erano già intervenuti in una situazione simile ancora il mese di maggio, e per l’Oman e gli altri Paesi del Golfo. Non c’entra niente quindi la crisi internazionale. Il fatto è che il mondo è stanco di finanziare i palestinesi specie se questi finanziamenti non vengono usati come dovrebbero e se gli stessi palestinesi non fanno niente per il proprio sviluppo. Ormai non ci crede più nessuno che la colpa sia di Israele, notoriamente additato a male unico per i palestinesi. Ora la verità emerge in tutta la sua dirompente realtà.
In una conferenza stampa improvvisata Salam Fayyad ha detto che in questo momento solo l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti e la Turchia possono salvare l’Autorità Nazionale Palestinese. A stretto giro di posta gli ha risposto il re saudita Abdullah bin Abdul Aziz, il quale informato del “grido di dolore palestinese” ha fatto sapere che in questo momento l’Arabia Saudita è impegnata nel salvataggio della Giordania con oltre un miliardo di dollari mentre altri finanziamenti sono destinati a sostenere altri Stati della penisola arabica che si trovano in difficoltà. Ergo, non c’è trippa per gatti. Niente soldi ai palestinesi. E poi il re saudita ha detto chiaramente che se la ANP vuole un aiuto dall’Arabia Saudita deve rompere immediatamente con Hamas. Lo stesso discorso è stato fatto dall’amministrazione americana intenzionata a non concedere deroghe sulla condizione di rompere con Hamas. Anche la Turchia, nonostante la sua economia stia prosperando, non intende muoversi da sola e senza l’avvallo internazionale, specie in un momento in cui la politica di Erdogan verso Hamas sta sensibilmente cambiando come dimostra la mancata partecipazione (su imposizione del Governo) della IHH alla Freedom Flotilla e il diverso approccio verso Israele notato nelle ultime settimane.
Concludendo, l’Autorità Nazionale Palestinese per seguire le sirene egiziane, chiaramente guidate dalla Fratellanza Musulmana, ha concluso l’accordo di riconciliazione con Hamas, ma allo stesso tempo si è infilata in un tunnel senza uscita. Senza i soldi occidentali i palestinesi sono destinati alla bancarotta nel volgere di pochi mesi. Ora ad Abu Mazen e compagnia bella resta solo una via d’uscita: rompere con Hamas e tornare al tavolo delle trattative con Israele. Ma lo deve fare in fretta perché agosto è dietro l’angolo.
Sharon Levi