Se c’è stato un aspetto positivo relativo alle elezioni in Sudan, le prime dopo 24 anni, è quello che almeno per un po’ il popolo ha potuto pensare che il Paese facesse un passo verso una seppur lenta democratizzazione. Anche la stampa in quei giorni ha potuto godere di qualche finestra di libertà dando voce alle opposizioni. Beh, ora tutto è finito e si torna alla dittatura.
Omar Al-Bashir ha vinto attraverso massicci brogli (riconosciuti da tutti gli osservatori internazionali) e già pochi giorni dopo la pubblicazione dei risultati ha ordinato l’arresto dell’oppositore di sempre, Hassan al-Turabi. Contemporaneamente all’arresto di Turabi il Presidente sudanese ha ordinato una massiccia offensiva nella regione di Jabel Moun, nel Darfur Occidentale, la roccaforte dei ribelli del Justice and Equality Movement (JEM) con i quali prime delle elezioni stava trattando un accordo di pace. E’ stata una strage: 108 ribelli uccisi, un numero imprecisato di civili uccisi o feriti, migliaia di sfollati.
La libertà di stampa è stata di nuovo cancellata e diversi giornalisti arrestati per aver dato voce alle opposizioni durante la campagna elettorale. Il giornale “Ajras al-Huriya” è stato chiuso perché accusato dai servizi segreti di aver scritto falsità sul Presidente. Aveva fatto alcuni commenti sulla incriminazione del Tribunale Penale Internazionale a carico di Bashir. Il suo direttore rischia sei anni di prigione e una pena corporale.
Ma la situazione più esplosiva si registra come al solito nei rapporti con il Sud Sudan che il prossimo anno dovrà decidere, attraverso un referendum, sulla autodeterminazione. Già da diverse settimane gli uomini vicini a Bashir rilasciano dichiarazioni che fanno pensare ad una azione volta a impedire il referendum. Persino il Presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, ha rilasciato a sopresa una dichiarazione molto ambigua sostenendo che “lui preferirebbe un Sudan unito e non un Sudan diviso in due”, dichiarazione che ha scatenato le ire degli abitanti del Sudan Meridionale i quali hanno accusato Kiir di tradimento. Non sono bastate le successive ritrattazioni a calmare gli animi. A sgombrare il campo ci ha pensato comunque Bashir che in una dichiarazione di domenica scorsa ha detto chiaro e tondo che “farà di tutto per impedire la separazione del Sud dal Nord”.
Un osservatore internazionale parlando alla Reuters ha detto che in Sudan “si fa un passo avanti e due indietro”. Mai frase fu più azzeccata. Il Sudan, passato il momento delle elezioni farsa e della flebile speranza di vedere la nascita di una democrazia, sta tornando alle origini, sta tornando cioè alla dittatura feroce di Omar Al-Bashir che ormai comanda il Paese da decenni. I prossimi mesi saranno decisivi per la pace in questo che è il più grande paese africano che con i suoi conflitti ha destabilizzato tutta la regione. Purtroppo non nutriamo molte speranze. Speriamo di sbagliarci.
Claudia Colombo (WI)