Povera Africa, non basta tutto quello che è costretta a subire a seguito della nostra fame di risorse, non bastano le guerre per il controllo delle ricchezze minerarie, ora dovrebbe subire anche una deturpazione naturale di tale grandezza da compromettere l’abitat di una delle foreste pluviali più grandi del mondo. E a farlo sarà una azienda italiana: l’ENI.
Ma andiamo con ordine. Nel maggio 2008 l’ENI annuncia un progetto per l’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose del Congo. Le sabbie bituminose sono formate da una miscela di sabbia, argilla, acqua e bitume che formano un olio pesante dal quale è possibile estrarre petrolio. Fino ad oggi l’unico luogo al mondo dove questa pratica veniva messa in atto è in Canada dove sta avendo un pesante impatto ambientale nelle regioni di Alberta, di Rivière-la-Paix (Peace River) e di Cold Lake. Ora l’ENI intende iniziare il processo di sfruttamento delle sabbie bituminose in Congo in un’area vastissima all’interno della foresta pluviale congolese. Il tutto dovrebbe fruttare milioni di barili di greggio.
Il problema però è l’impatto ambientale che tale pratica determina sull’ecosistema nel quale viene attuata. In Canada la zona interessata e poco abitata, sia da esseri umani che da animali, l’ecosistema non è certo paragonabile a quello di una foresta pluviale che, al contrario, è ricchissima di biodiversità. Secondo uno studio pubblicato dalla Fondazione Heinrich Boll, il più importante think tank dei verdi tedeschi, l’impatto ambientale che avrebbe l’avvio di questo progetto sulla foresta pluviale del Congo sarebbe a dir poco devastante. “L’estrazione di petrolio dalle acque bituminose – sostiene Sarah Wikes, una delle autrici del rapporto – è un processo molto inquinante, che comporta l’emissione di enormi quantità di anidride carbonica. Applicarlo in una zona molto sensibile dal punto di vista ecologico sarebbe semplicemente un disastro”.
L’ENI dal canto suo sostiene che “il processo di sfruttamento delle sabbie bituminose non comporterà la distruzione della foresta pluviale né l’occupazione di terreni agricoli e tanto meno avrà un impatto sulle aree caratterizzate da notevole biodiversità qual’è la foresta pluviale congolese”. L’ENI assicura anche che “il progetto non avrà alcun riflesso nemmeno sulla popolazione che non sarà costretta a trasferirsi altrove”. Beh, permetteteci di dubitarne. La zona interessata dal progetto è proprio al centro di un’area che con l’agricoltura, con la pesca e con la caccia da da vivere a milioni di congolesi. Iniziare un processo di sfruttamento delle sabbie bituminose in questo paradiso significa immancabilmente iniziare un processo destabilizzante, a livello umano, di tutta l’area, senza contare l’impatto ambientale.
Negli ultimi tempi le grandi compagnie petrolifere hanno iniziato a prendere di mira seriamente questo settore visto gli eccellenti risultati ottenuti in Canada (174 miliardi di barili di greggio ancora da estrarre) e ora puntano alle zone bituminose del Congo e del Venezuela. Ma il prezzo da pagare sarebbe davvero troppo alto, sia per l’ambiente che per la popolazione. Per questo motivo noi di Secondo Protocollo da oggi inizieremo una campagna di informazione e di sensibilizzazione allo scopo di far desistere l’ENI da questo suo distruttivo progetto. Nelle prossime settimane, in collaborazione con altre organizzazioni, faremo un dettagliato rapporto sulla attuale situazione della foresta pluviale del Congo nel quale evidenzieremo il possibile impatto che potrà avere l’attuazione di questo insano progetto voluto fortemente dall’ENI su questo microcosmo vergine.
Articolo scritto da Sharon Levi
Desolante, non mi viene in mente nessun’altro appellativo. Mi rode che sia una azienda italiana come l’Eni a fare questo scempio, mi rode un sacco.
Sarà difficile fermare la macchina tritasassi dell’Eni. Questi hanno in ballo miliardi di dollari e non si faranno fermare nemmeno da organizzazioni molto più grandi di voi. Che schifo di mondo infame
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