Iran: quella protesta che non si ferma. Quello che l’occidente non ha capito

Ormai non è più, come in molti (anche in occidente) si auguravano, una protesta “post-elettorale”, quella iraniana è diventata una protesta di popolo contro un feroce dittatore che sta trasformando l’Iran nel Paese più pericoloso del mondo a discapito della popolazione che vorrebbe una nazione moderna, dinamica e rispettosa dei Diritti.

Ieri l’ennesima dimostrazione oceanica contro il regime di Ahmadinejad e dei suoi compagni di merende. L’occasione è stata il funerale del Grande Ayatollah Hossein Ali Montazeri, guida spirituale del movimento riformista iraniano morto domenica scorsa sembra per cause naturali. Il copione è stato il solito: centinaia di migliaia di giovani che urlano slogan contro il dittatore, miliziani basij che intervengono duramente, feriti, arresti e attacchi ai leader riformisti. La macchina di Moussavi presa d’assalto da un manipolo di terroristi legalizzati dal regime, Karroubi minacciato di morte. Ma non volgiamo parlare delle manifestazioni e della conseguente repressione, non vogliamo parlare delle migliaia di giovani iraniani ancora incarcerati, dei morti a seguito delle sevizie, delle ragazze violentate e uccise in carcere. Non vogliamo parlare di questo. Vogliamo parlare dei motivi che spingono questi giovani ragazzi iraniani a rischiare la vita un giorno si e l’altro pure per contestare un feroce dittatore che sta portando l’Iran sull’orlo di un conflitto per le sue folli manie di grandezza di hitleriana memoria.

L’occidente, che continua a parlare di manifestazioni post-elettorali, sembra non rendersi conto che la contestazione ai brogli elettorali si è trasformata in una piccola guerra civile tra coloro che chiedono pacificamente più Diritti e coloro che detengono il potere solo grazie al fatto di aver trasformato la Repubblica dell’Iran in una vera e propria dittatura usando l’arma della teocrazia e dell’ignoranza generata dall’estremismo islamico.

Il Paese è comandato con pugno di ferro dalla guida suprema Ali Khameni appoggiato dai Pasdaran. Ahmadinejad non ha ancora tutto quel potere che vorrebbe per decidere le questioni interne. Ci sta arrivando ma non lo ha ancora. All’estero invece la politica del dittatore persiano è praticamente incontrastata. Nemmeno la guida suprema osa metterci becco. Ma quella condotta da Ahmadinejad all’estero è un politica di guerra, aggressiva e spregiudicata, una politica che finisce immancabilmente per ripercuotersi anche nella politica interna. Le guerre costano e a pagarne il prezzo maggiore è la popolazione. L’Iran è fortemente impegnata a supportare i ribelli sciiti in Yemen, appoggia Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, finanzia i programmi di riarmo della Siria, appoggia gli sciiti nel sud dell’Iraq, destabilizza continuamente l’area afghana e pakistana permettendo il transito di armi dal suo territorio e agevolando quello di oppio. Non parliamo poi del costo del programma nucleare. Miliardi e miliardi di dollari.

Tutto questo, unito all’embargo su molti materiali a cui l’Iran è soggetta, ha creato una situazione sociale interna esplosiva, situazione tenuta a freno dal regime con la violenza e il sopruso. L’isolamento iraniano si ripercuote sulla popolazione più povera, sui giovani che vorrebbero evolvere, sulle classi medie che vorrebbero progredire verso la modernità di uno Stato dinamico e interessato più alla pace che alla guerra. Invece i Pasdaran controllano il 75/80% delle attività economiche del Paese. Migliaia di operai dei cantieri navali sono da mesi senza stipendio. Hanno provato a protestare lo scorso mese di settembre e la reazione del regime è stata spietata. Una decina di morti e un centinaio di arresti. Nelle maggiori città il tasso di povertà è in costante aumento. La situazione migliora parzialmente solo nelle campagne dove la vita rurale concede meno a livello di modernità ma è anche più pratica a livello di beni essenziali. Infatti sono proprio le zone rurali lo zoccolo duro di Hamadinejad. Non per niente prima delle elezioni il dittatore ha promesso mari e monti ai contadini iraniani e agli abitanti delle migliaia di villaggi rurali dove a farla da padrone è l’ignoranza, dove non arriva nemmeno la TV se non quella di Stato, dove non esiste internet o qualsiasi forma di informazione imparziale.

I giovani iraniani non vedono un futuro che non sia legato a doppia mandata al potere teocratico degli Ayatollah, un futuro che non vogliono. I giovani iraniani vogliono uno Stato democratico, che mira allo sviluppo sociale ed economico, che sfrutta per il bene del popolo le immense risorse di cui dispone. Non vogliono questo continuo “stato di guerra”, non vogliono l’isolamento internazionale, non si sentono nemici dell’occidente, di Israele o di chiunque altro. Vorrebbero sentirsi semplici cittadini del mondo, parte integrante di una società globale che evolve invece di regredire. Questo l’occidente sembra non averlo capito, come sembra non aver capito l’importanza del movimento riformista iraniano come unico deterrente ad un conflitto che sembra sempre più inevitabile.

Se qualcuno pensa di fermare Ahmadinejad bombardando le centrali nucleari iraniane si sbaglia di grosso. Ahmadinejad si ferma solo sostenendo apertamente il movimento riformista iraniano, mettendo da parte la netiquette diplomatica, isolando quei Paesi, come la Turchia, che stringono patti con Teheran per l’estradizione dei richiedenti asilo iraniani, concedendo alle donne iraniane il Diritto di chiedere l’asilo politico in Europa per manifesta discriminazione, proteggendo i dissidenti iraniani in Europa invece di rimandarli silenziosamente in Iran come ha fatto la Gran Bretagna fino a qualche mese fa. Sostenere apertamente, anche finanziariamente, il movimento riformista iraniano significa mandare un segnale più forte di qualsiasi sanzione o di qualsiasi minaccia di attacco militare. Questo l’occidente sembra non averlo capito. Ma ancora c’è tempo e sono proprio i giovani iraniani a dirci questo. Sono loro infatti che continuano a sfidare la morte manifestando ad ogni occasione, sono loro che non si arrendono alla dittatura di Ahmadinejad e alla teocrazia degli Ayatollah, sono loro che vogliono semplicemente emergere. Non continuiamo a rimanere impassibili di fronte a questo incredibile movimento.

Articolo scritto da Miriam Bolaffi

1 commento su “Iran: quella protesta che non si ferma. Quello che l’occidente non ha capito”

  1. E’ che hanno necessità di uno come Ahmadinejad, ecco tutto, mentre ben pochi oggi hanno interesse a supportare la dissidenza iraniana, che, invece, potrebbe anche dimostrrarsi la carta nascosta che ci evita di andare a finire in un confronto armato… Ma è proprio tale confronto che “taluni ambienti” desiderano, ed ecco il problema…

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