Israele: un giardino nel deserto circondato da nemici

Un grande scrittore che io adoro, Paulo Coelho, ha scritto che: “ogni essere umano, nel corso della propria esistenza, può adottare due atteggiamenti: costruire o piantare. I costruttori possono passare anni impegnati nel loro compito, ma presto o tardi concludono quello che stavano facendo. Allora si fermano, e restano lì, limitati dalle loro stesse pareti. Quando la costruzione è finita, la vita perde di significato. Quelli che piantano soffrono con le tempeste e le stagioni, raramente riposano. Ma, al contrario di un edificio, il giardino non cessa mai di crescere. Esso richiede l’attenzione del giardiniere, ma, nello stesso tempo, gli permette di vivere come in una grande avventura”.

Andare in Israele significa vedere che si può costruire e piantare allo stesso tempo, significa rendersi conto di come un popolo discriminato e perseguitato da secoli sia ben lungi dall’arrendersi e che anzi, come un costruttore costruisce la sua nazione e come un giardiniere pianta il suo futuro. Quando avrà finito di costruire i muri della sua casa non si fermerà ad osservare perché sarà troppo impegnato a curare ciò che ha piantato, sfidando le tempeste e le intemperie.

Ho usato questo aforisma di Coelho per cercare di descrivere il popolo israeliano a chi non lo conosce e magari lo odia senza mai essere stato in Israele e senza mai aver avuto l’onore di lavorare o convivere con loro. A chi spesso lo odia per partito preso o perché “è di moda”, a chi nemmeno si informa a fondo delle questioni medio-orientali e ascolta solo voci di odio. Eppure anche quegli “odiatori” usufruiscono delle costruzioni e delle piantagioni israeliane. I computer che tutti oggi usiamo hanno tecnologia israeliana. Molte delle medicine che prendiamo e che spesso ci salvano la vita sono il frutto di quanto “piantato” in Israele. Moltissimi di quei prodotti di cui non possiamo fare a meno provengono dal lavoro israeliano. Alla faccia di chi vorrebbe boicottarli e poi magari è il primo a sfruttarne gli immensi benefici.

Negli ultimi tempi l’odio verso Israele e verso gli israeliani è aumentato a dismisura, basta andare un po’ in giro per la rete per rendersene conto. Ho la netta impressione che non si sia mai arrivati a certi livelli dall’olocausto in poi, che si stia facendo la stessa operazione che fece Goebbels con la sua “propaganda creativa” quando è stato dato il via ad una campagna antiebraica che poi ha portato ai risultati che sappiamo. Una marea di menzogne e di fatti distorti ad arte volti esclusivamente a denigrare lo Stato e il popolo Ebraico.

La cosa mi spaventa molto, non perché gli israeliani non si sappiano difendere da soli, lo hanno imparato sulla loro pelle, ma perché si cerca di distruggere l’esempio più eclatante dell’ingegno umano e di cosa può realmente produrre una nazione democratica. E’ come se si volesse mettere un peso sul futuro dell’umanità. E’ l’idea stessa a spaventarmi perché mi fa pensare che davvero la razza umana sia formata da individui che preferiscono il bieco e distruttivo odio all’idea di costruire qualcosa circondandola di tante belle  piante.

Ecco, io vedo Israele come un giardino bellissimo in mezzo al deserto, circondato da mura che lo difendono dai parassiti che schierati tutti insieme vorrebbero entrarvi per distruggere tutto. Capite perché gli israeliani non solo costruiscono (lo Stato, le mura, ecc. ecc.) ma piantano anche? Loro vogliono vivere la loro grande avventura, quella di veder crescere il loro “giardino” nel deserto, un giardino di cui potranno beneficiarne tutti.

Ed ecco perché dobbiamo fare di tutto affinché quei parassiti non distruggano quel bellissimo giardino. Non possiamo permetterlo se vogliamo che anche il mondo libero si trasformi in qualcosa di bello e radioso, se vogliamo che anche il mondo libero possa poter costruire e piantare. E’ Israele il punto focale. Rendiamocene conto.