L’ipocrita utopia della democrazia araba

22 Marzo 2011

In questi giorni di rivolte nei Paesi arabi si sente sempre più spesso parlare di “democrazia araba”, di “terza ondata” del processo di democratizzazione cominciata nel 1974 con la rivoluzione portoghese, di “risveglio del mondo arabo” contro l’oppressione e di “grandioso movimento di liberazione”. Tutte utopie quando non ipocrisie.

in shallahInnanzi tutto, paradossalmente, le cosiddette rivoluzioni arabe sono avvenute nei pochi paesi non estremisti e certamente laici. Tunisia, Egitto, Libia e Marocco non sono certo Paesi che applicano la Sharia e tra i paesi arabi sono quelli dove esiste più libertà, almeno per il momento. Non dico certo che sono democrazie compiute. Ben Alì, Mubarak e Gheddafi non sono certo personaggi che si possano definire democratici. Tuttavia, e questo è un bel paradosso, se consideriamo il restante mondo arabo che ha gioito insieme a certi intellettuali europei di queste “rivoluzioni” non possiamo fare a meno di notare che chi urla e gioisce per le “rivoluzioni democratiche” altro non è che un dittatore a sua volta, addirittura peggio di quelli deposti. A meno che non vogliamo considerare una democrazia l’Iran degli Ayatollah oppure la Siria di Assad,  il Libano controllato da Hezbollah, la Striscia di Gaza controllata da Hamas,  la Turchia di Erdogan o il Sudan di Bashir. Eppure i vari Ahmadinejad, Nasrallah, Assad, Meshal e Bashir hanno esultato per le rivolte che hanno deposto Ben Alì, Mubarak e che stanno deponendo Gheddafi, salvo poi reprimere in fiumi di sangue le manifestazioni dei loro giovani che intendevano dimostrare solidarietà con i rivoltosi tunisini, egiziani e libici. Come si spiega tutto questo?

Un secondo paradosso è quello relativo alla attuale situazione in quei Paesi dove i dittatori sono stati deposti. Prendiamo la Tunisia. Cosa hanno ottenuto i manifestanti con la cacciata di Ben Alì? Assolutamente niente, anzi, certamente hanno ottenuto un peggioramento della situazione tanto che si stanno catapultando a migliaia verso le coste europee. E in Egitto? Cacciato Mubarak il controllo del potere è passato all’esercito e quindi siamo ben lungi da una democrazia. Non solo, il referendum appena concluso ha praticamente consegnato il Paese nelle mani della Fratellanza Musulmana, la stessa che controlla gli insorti di Bengasi che stanno combattendo contro Gheddafi. Se a questo aggiungiamo che da quando se ne andato Mubarak si sono moltiplicati gli episodi di intolleranza e di violenza verso i cristiani, abbiamo un quadro preciso della situazione, un quadro che non assomiglia per niente ad una forma democratica.

E allora, quando parliamo di “democrazia araba”, di cosa stiamo parlando? Non parliamo certamente di una forma di democrazia come la intendiamo noi dove uomini e donne hanno gli stessi Diritti, dove c’è libertà di culto e rispetto verso le altre religioni e dove il potere è laico. Quando parliamo di “democrazia araba” intendiamo invece una forma democratica soggetta ai vincoli religiosi, alle differenze di genere, alle persecuzioni verso le altre religioni, verso i diversi (mi vengono in mente gli omosessuali) e verso tutto ciò che non è islamico. E se qualcuno quando parla di “democrazia araba” intende qualcosa di diverso da questo può tranquillamente andare al reparto neuro più vicino, perché sta parlando e si sta immaginando qualcosa che non è possibile semplicemente perché non è nel DNA islamico. Ve lo immaginate un Paese islamico dove si possa tranquillamente girare con una croce o con una stella di David al collo? Ve lo immaginate un Paese islamico dove i gay si possano dichiarare senza rischiare di essere appesi per il collo ad una gru? Ve lo immaginate un paese islamico dove le donne hanno gli stessi Diritti degli uomini? Sapete quali erano gli unici Paesi islamici dove era possibile fare una cosa del genere o qualcosa di molto simile? Egitto, Tunisia e Libia.

Magari è proprio per questo che le rivolte sono partite da questi Paesi, da quelli cioè dove paradossalmente esisteva più libertà rispetto agli altri. E adesso quel è il rischio? Purtroppo credo che non vedremo questi Paesi marciare verso la democrazia. Credo invece che li vedremo finire nelle mani dell’islam più cupo. Le prime avvisaglie le vediamo in Egitto e la Libia probabilmente farà la stessa fine seguita a ruota dalla Tunisia. Negli altri Paesi le “rivoluzioni” non sono possibili semplicemente perché le reprimono nel sangue. Si è detto che dietro alle rivolte nel Maghreb c’è una generazione di arabi colti, di giovani eruditi che usano le nuove tecnologie quali internet e i social network . Ma quali? Quel 2% che ha avuto la fortuna di studiare, magari in occidente? E gli altri 98% dove li mettiamo? Per un giovane arabo che quando parla di “democrazia” sa di quello di cui sta parlando, ce ne sono cento che intendono tutta altra cosa, che ancora sono convinti che se moriranno da martiri finiranno in paradiso dove avranno uno stuolo di vergini.

E allora, andiamoci piano a parlare di “democrazia araba” o quantomeno specifichiamo bene cosa essa sia, perché rischiamo di confondere quella che noi intendiamo essere una democrazia con quella che intendono loro. Certo, si potrà dire che ai giovani arabi va bene così e che quella è la democrazia a cui ambiscono. Lo rispetto, purché non cerchino di imporre anche a noi la loro utopica democrazia.

Franco Londei

Franco Londei

Politicamente non schierato. Sostengo chi mi convince di più e questo mi permette di essere critico con chiunque senza alcun condizionamento ideologico. Sionista, amo Israele almeno quanto amo l'Italia

10 Comments

  1. Certo siamo tutti ben strani. Che nel mondo stia succedendo qualcosa di anomalo, mi sembra evidente. In Paesi dove per decenni vari tiranni hanno oppresso la popolazione si è mosso qualcosa e, a mio avviso giustamente, le rivolte sono state viste con piacere e con rispetto da gran parte del mondo. Pensare che queste siano soluzioni che portano ad un modello democratico simile al nostro occidente, mi appare francamente singolare. Se volevamo che quel mondo – più o meno democratico – continuasse a comportarsi come prima, dovevamo tenerci Mubarak, Gheddafi, Ben Alì e tutti gli altri, i quali, in cambio di un bel pò di denaro personale (e per le proprie famiglie allargate) e qualche baciamano a destra e manca, avevano il compito di continuare a garantirci il nostro petrolio, a tenere a bada un pò l’immigrazione e a reprimere qualche scellerato integralista. Ovviamente questo gli dava mano libera su diritti umani violati, su assenza di riforme e prospettive per i giovani, su libertà di stampa etc.etc. Certo erano laici….
    Vi è un dato che deve farci riflettere. Il 60-70% della popolazione di questi paesi ha meno di 30 anni, molti hanno studiato, si collegano a internet ( a parte la Libia) e non vedono prospettive per il loro futuro.
    Non credo che 30-40 anni di storia -perchè di questo stiamo parlando – si dissolvano in pochi giorni e la democrazia, come piace a noi, trionfa!
    Oggi abbiamo la possibilità di aiutare questo processodi trasformazione, ma a due condizioni: non esiste solo il nostro mondo – che non è l’unica soluzione possibile per tutti – e che potrebbe succedere che le risorse (petrolio egas in testa) siano più difficili da ottenere e più costose. Siamo disposti?
    (per inciso la fretta della Francia e degli Stati Uniti ad intervenire militarmente in Libia sembra rispondere proprio a questa domanda. No non siamo disposti!)

  2. Confesso che anche io all’inizio ho visto di buon occhio le rivolte nei paesi del Maghreb. E’ iniziato a stonarmi qualcosa quando la rivolta ha riguardato l’Egitto e quando il posto di Mubarak è stato preso dall’esercito. Non da Baradei o da altri che si erano battutti per libere elezioni. Poi il referendum che ha premiato sostanzialmente la Fratellanza Musulmana mi ha confermato che, almeno in Egitto, non c’era niente di democratico nella “rivolta”. In Yemen è la stessa cosa. Da mesi l’Iran fomenta la rivolta. Non vorrei che passasse il pensiero che se Teheran o la Fratellanza Musulmana prendono il potere si vada verso una democrazia, seppur con il dovuto tempo. E’ chiaro, i vari Mubarak, Ben Alì e Gheddafi non sono personaggi democratici. Ma non vorrei che si passasse dalla padella alla brace. D’altra parte noi lo avevamo detto:
    http://www.secondoprotocollo.org/?p=2355

  3. Concordo sui dubbi, ma credo che per l’Egitto la presenza dell’esercito (che non dimentichiamolo guida il paese dal 1952 (Naghib, Nasser, Sadat, Mubarak – tutti militari) sia stata (ed è) una garanzia per la transizione. Al Baradei potrà forse candidarsi e vincere alle elezioni.
    In quanto alla Fratellanza Mussulmana io non la demonizzerei – non è, almeno in Egitto, quella di Al Banna, oggi è composta anche da professionisti del Cairo e hanno più anime. E’ una situazione difficile… ho solo l’impressione, come scrivo nel mio post di oggi (http://gianfrancodellavalle-sancara.blogspot.com/2011/03/libia-alcune-riflessioni.html) che l’azione militare finisca con screditare le rivolte iniziate 3 mesi fa.

  4. Ho letto con molta attenzione l’articolo da lei citato nel commento e sostanzialmente mi trova d’accordo su tutto, anche sul fatto che questo intervento “oscura” le vere rivolte e le vere, oltre che legittime, richieste di più diritti delle popolazioni arabe. Tuttavia non possiamo non notare che se rivolte genuine ci sono state, queste sono circoscritte alla Tunisia, all’Iran, alla Siria (proprio oggi abbiamo altre manifestazioni con altri morti) e al Libano. Per l’Egitto sono d’accordo con Franco e nutro molti dubbi, non fosse altro perché il giorno dopo aver preso il potere i generali egiziani hanno fatto passare per Suez due navi militari iraniene, cosa mai avvenuta. Le premesse quindi non sono delle migliori. Però diamogli credito e vediamo dove vanno a parare. Altre rivolte ci sono state a Gaza (non ne parla nessuno) contro Hamas. Il problema, sig. Gianfranco, è che è difficile identificare le rivolte, per così dire, GENUINE. In Yemen c’è sicuramente Teheran dietro ai sommovimenti sciiti, così come in Bahrain. Possiamo chiamere quelle rivolte GENUINE?
    Intanto mentre il mondo è impegnato a guardare alla Libia in Medio Oriente la situazione precipita con l’attentato di oggi a Gerusalemme che apre scenari per niente tranquilizzanti.

  5. Continuo questa botta e risposta, sperando di non infastidire. Sono d’accordo Miriam (spero non ti dia fastidio se uso l’informale) oggi credo che nessuno sia in grado di “identificare” le rivolte genuine. E’ un momento molto difficile dove le forze in campo, compresi gli estremisti, si mobilitano e tentano di acquistare nuovi spazi di manovra. Tu citi l’episodio delle’Egitto e delle navi di Teheran, ma pochi ricordano che nel 1888 , quasi vent’anni dopo l’apertura del Canale di Suez fu firmata la convenzione di Costantinopoli (ancora in vigore) che diceva che il Canale “poteva essere usato, in pace e in guerra, da tutti senza distinzione di bandiera”.Poi qualcuno ha deciso chi passava e chi no. Però il fatto che l’Egitto non abbia denunciato l’accordo con Israele che costò la vita a Sadat mi sembra, di contro, un segnale importante. Certo corrismo ma come oggi sul filo del rasoio. Ma mi chiedo, poteva durare una situazione come quella che c’era? Un mondo arabo tenuto da una ventina di tiranni, aiutati e protetti, da una parte del mondo? Poteva durare un mondo dove ci hanno raccontato che Saddam (dopo averlo usato per 10 anni contro l’Iran) fabbricava “armi di distruzione di massa” che non sono mai state trovate o che l’Iran costruiva la bomba atomica (in una centrale costruita dai russi da oltre vent’anni) dopo che l’agenzia atomica, guidata da El Baradei, aveva più volte detto che non vi erano prove?

  6. mi intrometto perché la discussione è proprio interessante. Parto dal finale dell’intervento di Gianfranco, La AIEA non è mai riuscita a dimostrare niente perché le è stato vietato l’accesso in alcuni siti. E’ per questo che l’Iran è (sarebbe) sotto sanzioni. Ci sono pochi dubbi sul programma nucleare iraniano e sugli scopi (purtroppo).
    Discorso ben diverso per quanto riguarda i sommovimenti democratici in molti paesi islamici. E’ vero che bisogna fare attenzione su chi tira le fila di questi movimenti, tuttavia ritengo che non si debba perdere l’occasione almeno di provarci. Se la democrazia dovesse trionfare anche in uno solo di questi paesi si potrebbe veramente cambiare il corso della storia

  7. Scusami Paride ma non sarei così sicuro sulle conclusioni dell’AIEA. El Baradei ha ripetuto fino alla nausea (e fino a che l’hanno fatto fuori) che “non vi erano prove evidenti” del programma iraniano. Certo grazie anche grazie al fatto che alcuni siti non sono stati visti. Del resto il programma nucleare iraniano è nato con gli americani (che hanno anche fornito l’uranio per il primo reattore sperimentale oltre che conoscenza e tecnologia). Tale programma prevedeva la costruzione, se la memoria non mi inganna, di 11 centrali entro il 2000. Poi arrivò Khomeini e l prima centrale che doveva essere pronta per la metà degli anni ’80 fu bloccata. Poi giunsero i russi e ripresero la costruzione. Solo dal 2006 gli americani hanno allertato il mondo sul possibile uso bellico del nucleare iraniano…..
    Oggi sono 9 i paesi che anno armi nucleari nel mondo – USA, GB, Cina, Francia, Russia, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord (bensì Israele e la Corea continuino a negare). Gli unici che hanno utilizzato armi atomiche sono stati gli americani contro i giapponesi nel 1945. Solo il Sudafrica (e credo qualche paese dell’ex URSS) in questi anni ha rinunciato agli arsenali atomici che aveva. Forse sarebbe ora di eliminare le armi che ci sono, altrimenti il rischio che qualcuno si stanchi di subire le decisioni di altri, aumenta di anno in anno.
    Concordo con la tua frase finale “se la democrazia dovesse trionfare anche in uno solo di questi paesi potrebbe cambiare il corso della storia”. La questione e che questi paesi siedono su risorse enormi (attenzione la cosa vale anche per alcuni paesi dell’Africa) di cui noi abbiamo assoluta necessità e di cui siamo completamente sprovvisti.

  8. El Baradei è sempre stato molto ambiguo sul programma nucleare iraniano. Poi, scusami, se il concetto che sul programma nucleare iraniano vale il concetto che non ci sono prove, perché si afferma che Israele dispone di armi nucleari? Non vale anche in quel caso il concetto che non vi siano prove? E’ chiaro, nessuno è così scemo da negarlo o da non crederci, così come nessuno è così scemo da non credere che Teheran stia perseguendo l’obbiettivo di dotarsi di armi nucleari. C’è però una differeza sostanziale: Teheran ha firmato la convenzione di non proliferazione, Israele no. Poi, vogliamo mettere cosa vuol dire armi nucleari in mano agli Ayatollah e cosa voglia dire lo stesso con Israele? Non vorremo dire che è la stessa cosa, anche perché nel caso di Israele si può senza dubbio parlare di “armi di persuazione” o “di difesa”. Non credo che si possa affermare lo stesso per l’Iran.

  9. Hai ragione Miriam, però io sinceramente, con le dovute differenze, non mi fido di nessuno. Vi è però un’unica differenza rispetto al credere o non credere alle affermazioni dei vari leaders. Israele ha (nel senso che nonostante neghi) armi atomiche, l’Iran potrebbe averle forse tra una decina di anni se sviluppa tecnologia e se altri paesi, come la Russia, li aiutano. Inoltre nel dubbio all’Iran è stato fatto un embargo a Israele no. La comunità internazionale deve decidersi su che posizione avere. Infine permettimi che se introduciamo la questione delle armi nucleari come “armi di persuasione” allora nei prossimi 10-20 anni vedremo un proliferare di queste armi. Perchè il Brasile no, e l’Indonesia? E la Nigeria? E la lista si allungherebbe molto a paesi molto popolosi ed economie in grande crescita.
    Detto questo, che rischia di portarci lontano, resta l’interrogativo su cosa accadrà se nei Paesi arabi dovessero affermarsi nuove leadership meno disposte ad assecondare i potenti del mondo?

  10. a costo di dover passare per cinico (e tornando al discorso, di Iran ne parleremo un’altra volta) credo che difficilmente vedremo le “nuove democrazie arabe” meno disposte ad assencodare i potenti del mondo. Mi spiego. Forse non sarà l’America o qualche nazione europea, ma mi sembra difficile che possano evolvere senza “l’appoggio” esterno. Magari sarà la Cina, o la Russia, o l’India, oppure il Brasile. Ma secondo me l’influenza esterna la subiranno ancora a lungo. Cambierà solo (forse) chi eserciterà questa influenza. Il rischio alla fine resta lo stesso: fare in modo che chi esercita quella influenza non sia assimilabile all’estremismo islamico perché allora farebbero un deciso passo indietro.
    E logico che parlo per me, cioè esprimo un mio pensiero che non è di certo un auspicio

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