Che Joseph Kony, capo del Lord’s Resistence Army (Lra), e Al Bashir, presidente dittatore del Sudan, fossero in combutta da almeno 20 anni lo sanno tutti, che i due sono ricercati dal Tribunale Penale Internazionale (TPI) per crimini di guerra è un’altra notizia nota, ma che si accordassero per boicottare la secessione del Sud Sudan in un momento in cui tutto il mondo guarda a quanto avviene nella regione meridionale sudanese è davvero troppo.
Eppure sembra proprio così. Secondo fonti molto vicine ad Hassan al-Turabi, ex mentore di Al Bashir e oggi fiero avversario del Presidente sudanese, i due avrebbero raggiunto un accordo piuttosto articolato che prevede la possibilità per Joseph Kony di stabilirsi in Sudan, al riparo dal mandato di cattura del TPI, in cambio di un “aiutino” nel Sud Sudan e in Darfur.
Qualcuno potrebbe dire: niente di nuovo. Kony e Al Bashir combattono insieme da venti anni. I sudanesi del sud si ricordano benissimo la strage perpetrata dai guerriglieri ugandesi di Kony durante l’assedio di Juba. E’ chiaro che anche adesso collaborano. Giusto, i due sono complici di diverse stragi e i ribelli del Lra hanno combattuto al fianco dell’esercito sudanese durante la lunghissima guerra (22 anni) che ha contrapposto Khartoum al Sudan People Liberation Movement/Army (Splm/A), ma è il contesto temporale che meraviglia.
Ufficialmente in questi giorni Khartoum sta definendo con Juba i dettagli del referendum che si terrà nel 2011 e che dovrà stabilire se il Sud Sudan si separerà dal Sudan. Ci sono molte incomprensioni, è vero, soprattutto a causa del mancato rispetto da parte di Khartoum di molti punti del trattato di pace firmato a Nairobi nel 2005, tuttavia a differenza di pochi mesi fa i due governi si parlano e cercano di tenere mute le armi. Diverso è il discorso per il Darfur dove Al Bashir, a dispetto delle dichiarazioni, non ha alcuna intenzione di raggiungere un accordo con i ribelli. Un uso dei ribelli ugandesi di Joseph Kony in Darfur, sotto l’aspetto puramente tattico, sarebbe almeno giustificato. Ma Nel Sud Sudan no. E’ vero che nei mesi scorsi i ribelli di Kony hanno attaccato diversi villaggi nelle regioni di West Equatoria e di Bahr al Ghazal, ma adesso sembra essersi stabilmente collocati più a nord, verso il Darfur. Se quindi fosse vero quanto affermato dall’uomo di Hassan al-Turabi, tutta la manfrina a cui assistiamo in questi giorni non sarebbe altro che fumo negli occhi e Al Bashir non avrebbe alcuna intenzione di lasciare che il Sud Sudan si stacchi definitivamente dal Sudan.
La cosa è molto grave, perché il Sudan People Liberation Movement che amministra il Sud Sudan, pur di ottenere l’indipendenza da Khartoum, sarebbe disposto alle estreme conseguenze, che detto in parole povere significa scendere in guerra. Una nuova guerra tra il Sud Sudan e il Sudan incendierebbe tutta la regione dei Grandi Laghi. Questo a causa di una serie di alleanze regionali, a volte trasversali, che metterebbero diversi paesi uno contro l’altro. Di sicuro l’Uganda scenderebbe in campo al fianco del Splm, mentre la il Congo RDC potrebbe passare dalla parte sudanese, così come la Repubblica Centrafricana (c’è un trattato di mutuo soccorso tra i tre). Di sicuro lo faranno i gruppi ribelli che operano in quelle aree. Questo potrebbe provocare la reazione del Rwanda che da anni rivendica alcune terre congolesi.
Con un possibile scenario come questo, cioè con una reazione a catena devastante, la comunità internazionale non si può permettere il lusso di far fare ad Al Bashir i suoi giochetti. Deve intervenire prima. Innanzi tutto va risolto il problema di Joseph Kony e dei suoi ribelli. Il Lra va individuato e fermato. Ci stanno provando da mesi, senza successo, gli eserciti di Uganda, Sud Sudan e Congo. Ora che Kony è fuori dallo loro portata (in sud Darfur?), serve l’intervento delle truppe dell’Onu o dell’Unione Africana. Tolto di mezzo Kony, Al Bashir rimarrà senza il braccio violento e oscuro che gli ha permesso di mantenere il Sud Sudan in una perenne situazione di instabilità e insicurezza per tutti questi anni. A quel punto potrà solo pronunciarsi apertamente contro la secessione, ma sarebbe un suicidio politico, oppure accettare l’indipendenza del Sud Sudan. Ma ribadiamo che adesso è la comunità internazionale a dover agire. E dovrà farlo in fretta, perché il 2011 è dietro l’angolo.
Articolo scritto da Claudia Colombo