La situazione in Sud Sudan è in continua evoluzione e purtroppo molto spesso in senso negativo. La grande quantità di armi illegali che continua a circolare nella regione, gli scontri tribali e i numerosi gruppi ribelli presenti nell’area o nelle regioni confinanti, primo tra tutti quello ugandese del Lord’s Resistence Army (LRA) di stanza in Congo, minano seriamente il cammino verso la stabilizzazione della regione e potrebbero seriamente compromettere il prossimo referendum per l’autodeterminazione.
Troppe armi illegali: secondo dati forniti nei giorni scorsi dall’esercito del Sud Sudan (Sudan People Liberation Army – SPLA) in una conferenza tenutasi a Juba, le armi illegali sequestrate negli ultimi mesi sono pari a 30.000 unità. La maggior parte delle armi sequestrate sono risalenti al tempo del conflitto con il Nord, conflitto finito nel 2005. Da allora molte persone non hanno restituito le armi in loro possesso detenendole illegalmente. Un legge varata lo scorso gennaio dal Governo Provvisorio del Sudan Meridionale imponeva l’immediata restituzione e dava all’esercito la facoltà di ispezionare qualsiasi abitazione in cerca delle armi. Il SPLA stima che ancora ci siano decine di migliaia di armi in circolazione. Secondo stime Onu almeno 2.500 persone sarebbero state uccise dalle armi illegali negli ultimi mesi.
Scontri tribali: uno dei motivi di maggior preoccupazione per il Governo Provvisorio e per le Organizzazioni Umanitarie è il perdurare degli scontri tribali. L’ultimo in ordine di tempo è avvenuto lo scorso 4 agosto nella regione di Yirol e ha provocato 21 morti e decine di feriti. Il problema degli scontri tribali è legato a doppio filo con quello delle armi illegali. Molte tribù infatti rifiutano di consegnare le armi in loro possesso per il timore di essere attaccati da tribù rivali o dai razziatori di bestiame. Ad ogni attacco corrisponde una ritorsione, un fatto questo che innesca una spirale di violenza senza fine.
I gruppi ribelli: quello dei gruppi ribelli è senza dubbio il problema più grande per la normalizzazione della regione meridionale del Sudan. Il più pericoloso è senza dubbio il Lord’s Resistence Army (LRA), gruppo ugandese guidato da Joseph Kony, ricercato dal Tribunale Internazionale Internazionale per crimini contro l’umanità. Dopo la loro fuga dal nord Uganda i ribelli di Kony si sono rifugiati nel Garamba Park (nord del Congo) da dove periodicamente conducono attacchi contro i villaggi della regione di Equatoria provocando massacri e fughe di massa. I ribelli uccidono e bruciano tutto, rapiscono i bambini per trasformarli in bambino soldato e mutilano tutti coloro che si oppongono ai loro voleri (vedi l’articolo e il servizio fotografico di Giorgio Trombatore) generando comprensibilmente diffuso terrore nelle comunità che vivono nelle aree confinanti con il Congo. Da molti mesi l’eserito sudanese in collaborazione con quello ugandese stanno cercando di stanarli dai loro rifugi nelle fitta foresta congolese, senza però apprezzabili risultati. L’ultimo attacco del LRA nella regione sud-sudanese è avvenuto lo scorso 3 agosto quando un piccolo manipolo di ribelli ha attaccato un camion che stava trasportando viveri nelle regione di Equatoria Occidentale a pochi Km dal confine con il Congo. Solo il pronto intervento dei militari del SPLA ha evitato una strage. L’autista del camion è morto e alcuni civili sono rimasti feriti, ma è certo che i ribelli torneranno magari più numerosi. Un altro gruppo ribelle che negli ultimi tempi sta dando diversi problemi nella parte più a nord del Sudan Meridionale cioè in Kordofan e in Bahr al Ghazal è quello del Justice and Equality Movement (JEM), uno dei maggiori gruppi ribelli del Darfur. Molto spesso per sfuggire alla caccia dell’esercito sudanese i ribelli del JEM si rifugiano in queste due regioni confinanti con quella del Darfur generando scontri armati e frequenti sconfinamenti dell’esercito sudanese in un territorio amministrato dal SPLA con rischi davvero gravi di innescare un conflitto armato tra i due eserciti.
La situazione umanitaria: sotto l’aspetto umanitario il Sud Sudan è ancora in una situazione chiaramente emergenziale. Se si fa eccezione per le maggiori città (Juba, Waw, Rumbek, Kapoeta e Nimule) il resto della regione non si differenzia molto da un Paese appena uscito da un conflitto quando invece il conflitto è ufficialmente finito nel 2005. Sono purtroppo evidenti le mancanze del Governo Provvisorio in termini di sviluppo delle aree rurali. Molte zone sono ancora minate, l’accesso all’acqua potabile è reso difficile dalle condizioni drammatiche dei pozzi, lagricoltura stenta a decollare mentre l’allevamento risente fortemente delle continue razzie dei predoni Dinka e Karimojon (questi ultimi ugandesi) che si spingono sempre più all’interno del territorio del Sudan Meridionale. Mancano le vie di comunicazione e durante le stagioni delle piogge risulta praticamente impossibile raggiungere i villaggi più isolati o quelli in montagna. Lo sviluppo procede troppo lentamente e rispetto alla tabella di marcia redatta dal Governo Provvisorio nel 2006 siamo decisamente in ritardo. A rendere più difficile qualsiasi progetto di sviluppo ci sono le situazioni sopra descritte.
Il referendum: in questo contesto il prossimo 9 gennaio 2011 il Sud Sudan si appresta a votare per decidere l’autodeterminazione dal Sudan. Nonostante il risultato sia dato per scontato (si deciderà sicuramente per l’autodeterminazione) in molti in queste ultime settimane stanno lavorando per rinviare il referendum a data da destinarsi o addirittura per cancellarlo definitivamente. Tra questi anche alcuni alti dirigenti del Sudan People Liberation Movement (SPLM) che di fatto controlla il Governo Provvisorio. Questo sta generando fortissimi attriti all’interno del SPLM e del Governo stesso con accuse di tradimento e di corruzione. La situazione insomma è quanto mai confusa.
Report di Claudia Colombo (W.I.)