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Franco Londei > Blog > Siria, detonatore del Medio Oriente. E Obama pensa ai palestinesi
BlogMedio Oriente

Siria, detonatore del Medio Oriente. E Obama pensa ai palestinesi

Franco Londei
Franco Londei 20 Maggio 2013
Updated 2013/05/20 at 8:02 AM
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siria-obama-assad-iran

La guerra in Siria già da molto tempo non è più una faccenda interna e forse non lo è mai stata, sta andando velocemente verso una fase pericolosissima che potrebbe veramente incendiare tutto il Medio Oriente e dove forse Israele è lo Stato meno esposto a certi rischi grazie proprio alla sua democrazia.

Il pericolo più grosso è per la Turchia. Lo fa notare l’ex Ministro degli Esteri, Giulio Terzi, in una nota pubblicata ieri (ed è l’unico a parlarne). «Un’attenzione speciale merita la Turchia – scrive Terzi –  come si è visto con il terribile attentato dei giorni scorsi, ritenuto opera dell’intelligence siriana o di gruppi a essa collegati, in Turchia può essere agevolmente alimentato un conflitto settario tra Alawiti e Sunniti, specialmente nella provincia di Hatay che ospita la comunità alawita. Erdogan si trova in una delicata fase politica, che potrebbe essere compromessa dallo estendersi delle turbolenze legate alla guerra siriana. Di più: il negoziato con il PKK e il difficile equilibrio che Ankara sta cercando di instaurare tra il Kurdistan Iracheno, quello siriano e i curdi in Turchia, può essere alterato e azzerare le prospettive di pacificazione con tutte le componenti curde».

Ecco, Terzi pone l’accento sulla Turchia come “anello debole” in Medio Oriente quando invece è considerata da tutti una sorta di caposaldo, persino dai Paesi del Golfo che stanno dietro al conflitto in Siria. In realtà Giulio Terzi, che è uomo diplomatico di lungo corso oltre che un eccellente analista (purtroppo silurato dalla politica perché ha avuto l’ardire di protestare sulla vicenda dei marò), ha fatto una analisi precisa e degna di nota. La Turchia, al pari del Libano, è una società a maggioranza musulmana ma dove convivono abbastanza bene altre religioni e minoranze. Tra queste minoranze c’è quella Alawita che in sostanza sono sciiti. Il mondo islamico da anni è squassato da una feroce guerra tra sciiti e sunniti, una guerra che per il momento ha tenuto relativamente fuori la Turchia e il Libano anche se quest’ultimo si trova davvero in situazione precaria. Ma il conflitto in Siria ha cambiato le cose e lo spettro di una guerra settaria si è affacciato anche in Turchia e le autobombe di pochi giorni fa lo confermano, o quantomeno confermano che Assad stia cercando di innescare anche in Turchia quel conflitto tra sciiti e sunniti che sta devastando mezzo mondo islamico.

Bene, a prescindere dall’antipatia che si possa avere per Erdogan e per la sua politica anti-israeliana ( e personalmente non lo posso vedere), sarebbe da stupidi sottovalutare il rischio che anche la Turchia si destabilizzi o, peggio, augurarselo. Una destabilizzazione della Turchia favorirebbe in maniera incredibile l’Iran e sconvolgerebbe il Medio Oriente. Lo sanno benissimo anche a Gerusalemme nonostante i tanti punti di attrito tra Israele e Turchia. Il problema è che in tanti sottovalutano questo rischio, specie a Washington dove di politica estera non ci capiscono un fico e dove soccombono a ogni strategia impostata dall’Iran. Non nomino a caso l’Iran perché se si da per scontato che Teheran sia parte in causa del conflitto siriano (e lo è) si deve dare per contato anche il fatto che ogni strategia voluta da Assad sia condivisa con l’Iran. E se Assad punta a destabilizzare la Turchia per allargare il conflitto, come probabilmente sta cercando di fare, la mente non è a Damasco ma è a Teheran.

Se tutto questo è vero si può guardare l’attuale strategia di Erdogan in Medio Oriente sotto un altro aspetto, anche se in maniera fortemente critica. Per esempio il suo avvicinamento alle posizioni di Hamas potrebbe essere volto a sottrarre il gruppo terrorista palestinese dall’area di influenza iraniana nel contesto di un confronto sciiti/sunniti nel quale Hamas non ha mai preso veramente posizione, anzi, ha fatto spesso il doppio gioco. Anche la frenesia turca di intervenire in Siria, non condivisa dalla Casa Bianca, potrebbe essere legata alla volontà di stroncare sul nascere i piani di Assad (iraniani) piuttosto che per ragioni “umanitarie”.

In questo contesto fatto di equilibri precari si è introdotta apertamente (e pesantemente) la Russia. Rimasta alla finestra per molto tempo limitandosi a lanciare solo avvertimenti, qualche giorno fa ha deciso di inviare una flotta davanti alla Siria e di consegnare armi altamente sofisticate (i missili S-300) a Damasco. A Mosca hanno capito quello che a Washington si ostinano a non vedere, e cioè che il conflitto in Siria non è più una guerra civile ma che il territorio siriano è diventato un enorme campo di battaglia dove a combattersi non sono solo i siriani ma le maggiori potenze regionali. E Mosca ha scelto di stare apertamente con Assad e quindi con l’Iran.

E cosa si nota in tutto questo. Cosa manca? In tutto questo manca l’America ormai relegata a figura secondaria in Medio Oriente ( e non solo), diventata lo zimbello degli iraniani e ora umiliata dalla prova di forza russa. A Washington sono incapaci di capirci qualcosa e continuano a star dietro all’ininfluente questione palestinese quando è chiaro a tutti che le cose in Siria stanno prendendo una brutta piega, che il conflitto siriano rischia di tracimare in Turchia, in Libano, in Giordania e, quasi sicuramente, in Israele.

E non è che da Obama possiamo aspettarci qualcosa di più se pensiamo che il più alto rappresentante della sua politica estera, il Segretario di Stato John Kerry, questa settimana sarà ancora in Medio Oriente per parlare della questione palestinese. E’ masochismo allo stato puro. Dare la precedenza a cose ininfluenti quando tutto il Medio Oriente sta per esplodere.

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TAGGED: analisi guerra siria, Medio Oriente, obama, siria, turchia
Franco Londei 20 Maggio 2013

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