Se c’è una cosa che non si può dire di Ahmadinejad è che sia uno stupido. Ha preparato con cura nel corso degli ultimi anni il colpo di Stato che lo ha portato al potere lo scorso giugno 2009 (a tal proposito sta uscendo una magnifica inchiesta di Reza Valizadeh intitolata “colpo d i stato in cinque mosse”) e si è creato una “gabbia difensiva” degna di un grande statista. Che poi tutto questo lo abbia fatto con il sangue di tanti innocenti è un altro discorso. Quello che però nessuno si aspettava è che la Turchia entrasse a far parte della gabbia difensiva iraniana.
Sulla Siria, su Hezbollah e su Hamas non c’erano dubbi, ma la svolta decisa della Turchia verso le posizioni iraniane ha preso in contropiede la maggior parte degli analisti internazionali fatta eccezione per pochi lungimiranti quanto inascoltati consiglieri di Obama e per gli analisti del Mossad che avevano previsto l’avvicinamento di Ankara a Teheran quando Erdogan prese il potere e quando epurò i vertici militari turchi.
La scalata di Erdogan assomiglia in modo incredibile a quella di Ahmadinejad. Ha iniziato con il mettere i propri uomini nei punti strategici dello Stato e dell’esercito. Ha poi eliminato uno alla volta i suoi detrattori mettendoli alla berlina o in galera e accusandoli di complottare contro lo Stato. Infine ha dato maggiori poteri e denaro a quelle organizzazioni islamico-estremiste che dietro al paravento dell’intervento umanitario e del credo religioso nascondono un aperto sostegno a diversi gruppi terroristici. Sotto certi aspetti Erdogan è stato persino più furbo di Ahmadinejad assumendo all’inizio un atteggiamento falsamente meno estremista di quello del macellaio di Teheran. Solo quando tutti i tasselli erano al loro posto e l’esercito reso innocuo è uscito allo scoperto.
Nel volgere di pochi mesi ha preso il comando delle operazioni anti-israeliane e di sostegno all’Iran soppiantando persino il ruolo che era della Siria. Ha organizzato continui incontri con con i peggiori elementi dell’estremismo islamico. Ha difeso a spada tratta il programma nucleare iraniano attaccando contemporaneamente la politica israeliana. Ieri addirittura è uscito allo scoperto persino su Hamas sostenendo pubblicamente che “Hamas non è un gruppo terrorista ma un movimento di resistenza”, parole che se fossero state pronunciate dal macellaio di Teheran non avrebbero stupito nessuno, ma dette dal leader di uno Stato membro della NATO non possono e non devono passare sotto silenzio. E’ una affermazione gravissima che denota la strada presa dalla Turchia e che non può esimere i leader dell’Alleanza Atlantica dal rivedere con attenzione la presenza di Ankara all’interno dell’Alleanza stessa, un presenza che comporta non solo la fornitura delle più moderne armi ma, soprattutto, la condivisione di segreti militari e di piani di intervento.
Di fare entrare la Turchia in Europa poi non se ne parla nemmeno. L’Unione Europea non si può permettere il lusso di avere al suo interno una prolunga del regime totalitario e sanguinario iraniano. E se qualcuno, come si leggeva ieri in diversi interventi, pensasse che un ingresso di Ankara in Europa la sottrarrebbe dall’influenza iraniana si sbaglia di grosso. Non sappiamo più nemmeno se sia Teheran a condizionare Ankara o se sia l’esatto contrario.
I prossimi giorni (forse le prossime settimane) vedremo dove andrà a parare la Turchia, anche se una idea ce la siamo già fatta. Una cosa è certa, questa Turchia non può più stare nella NATO, non può avere a disposizione le migliori tecnologie militari e avere accesso ai piani militari dell’Alleanza Atlantica. E’ un vero e proprio suicidio. Fino ad oggi la presenza di Ankara nella NATO aveva garantito ai turchi una certa impunità sui massacri perpetrati in Kurdistan e sulla occupazione di Cipro (a tal proposito ieri la Turchia è stata accusata di praticare una vera e propria pulizia etnica a Cipro, quando si dice il caso). Questa condizione di sostanziale “privilegio” deve terminare immediatamente. Per troppo tempo si sono chiusi gli occhi sulle atrocità turche a causa della sua supposta importanza all’interno della NATO. Oggi non ci sono più le condizioni per cui la Turchia debba rimanere nell’Alleanza atlantica e per questo sia “autorizzata” a fare quello che fa in Kurdistan e a Cipro. Ci pensino bene i generali e i Ministri della Difesa degli Stati membri della NATO. Pensino bene che tipo di alleato hanno al loro interno e valutino con attenzione se sia il caso di coinvolgere ancora Ankara nei piani difensivi atlantici.
Franco Londei